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Solennità della Pentecoste

Come abbiamo sentito dalla prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, mentre gli apostoli si trovavano nello stesso luogo, «venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso». Quindi «apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro».

Lo Spirito Santo, la terza persona della SS. Trinità, ci appare così evanescente che non sappiamo immaginarlo se non per simboli, simboli, appunto, come il vento e il fuoco.

Il vento sta ad indicare l’assoluta libertà con cui lo Spirito di Dio agisce nella vita del mondo e degli esseri umani, coinvolgendo soprattutto questi ultimi in un movimento di grazia che sfugge a qualsiasi tentativo di imbrigliarlo. Il pensiero corre alle parole che Gesù aveva rivolto a Nicodemo durante il loro colloquio notturno: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. 8Il vento soffi a dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,7-8).

Da parte sua, il fuoco che, sotto forma di lingue, si era posato su ciascuno dei discepoli, esprime la diversità dei carismi o doni di cui essi sono destinatari. Lo Spirito, cioè, fa di ogni creatura un unicum, di quella unicità, però, che non ostacola la comunione, ma, al contrario, contribuisce ad essa attraverso la “convivialità delle differenze”.

Possiamo, infatti, affermare che se la Chiesa, in quanto “Corpo di Cristo”, si nutre dell’unità e della comunione – dal momento che tutte le membra, unite tra loro, concorrono al bene del corpo –, questa stessa Chiesa, nella luce della Pentecoste, è una entità in continua ricerca, sempre aperta alla creatività e sempre pronta ad inoltrarsi in percorsi inediti suggeriteli dallo Spirito, che con la sua forza vivificante ci libera dalle ristrettezze dei nostri preconcetti, delle nostre pseudo-sicurezze, del nostro tran tran spirituale. In fondo, si tratta di due tempi di un unico movimento. Se nel Cristo siamo uno, questa unità non significa tuttavia uniformità, poiché, grazie allo Spirito Santo, tale unità è corroborata e resa efficace dal concorso della diversità e della creatività di cui ciascuno è portatore.

Che questo sia vero, e che lo Spirito Santo non sia un rullo compressore che tutto livella ed omologa, lo cogliamo dalla reazione di stupore di quanti ascoltavano gli apostoli: «Come mai – si dicono l’un l’altro – ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?».

Infatti, attraverso gli apostoli, lo Spirito Santo parlava direttamente al cuore di ciascun ascoltatore, e non perché gli apostoli parlassero tante lingue, ma perché chi ascoltava la loro predicazione la comprendeva nella propria lingua!

Mentre durante la costruzione della Torre di Babele – episodio narrato in Gen 11,1-9 – la molteplicità delle lingue era un segno di frattura ed indicava la divisione dell’umanità, ora, con la Pentecoste, il fatto che coloro che ascoltavano la predicazione degli apostoli la comprendessero nella propria lingua, è una metafora della Chiesa che, nella sua universalità, è sì molteplice, universale, ma lo è nell’unico “Corpo di Cristo”, dove la comunione è costantemente alimentata dalla carità. Tutto questo è possibile grazie all’azione dello Spirito vivificante di Dio! Senza di Lui, effusione gratuita e ardente in noi della sua vita d’amore, il cristianesimo sarebbe un’arida dottrina, la croce di Gesù una follia e la sua risurrezione una favola!

VANGELO: Gv 20,19-23

«Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi” (…) E i discepoli gioirono al vedere il Signore»

L’incontro di Gesù con i suoi discepoli prende avvio dall’iniziativa del Signore risorto che dona la sua pace, quella pace che rappresenta la sintesi di tutti i beni che l’essere umano può desiderare. Questo dono della pace è ciò che permette il passaggio dalla paura alla gioia, quella vera, quella che Gesù aveva promesso ai suoi durante l’Ultima Cena. La paura che viene superata dal dono della gioia è la paura causata dall’ostilità del mondo che minaccia la Chiesa e che cerca di impedire che la luce del Cristo e del suo Vangelo si facciano strada attraverso il suo annuncio e la sua testimonianza.

«Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi»

La liberazione dalla paura e l’esperienza della gioia vera che provengono dal Risorto, apre la Chiesa alla missione. Così, la missione di Gesù, che aveva preso avvio dal Padre, diviene l’origine e il modello della missione dei suoi discepoli, la quale si configura come il prolungamento nel tempo e nella storia di quella di Gesù.

Di fatto, si tratta della stessa missione, dove la seconda (quella dei discepoli) è inclusa nella prima (quella di Gesù), perché è Gesù in persona che dà l’incarico ai discepoli di continuare la sua missione. Quella dei discepoli non è una missione personale. Essi annunciano e testimoniano il Vangelo nel mondo perché Gesù li ha scelti ed inviati. Questa è la motivazione di fondo che sorregge anche oggi il nostro annuncio e la nostra testimonianza.

«Soffi ò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”»

Nel brano evangelico di Giovanni, l’incarico missionario è subito seguito dal dono dello Spirito, il dono per eccellenza del Cristo ai suoi discepoli. Non c’è testimonianza né missione nella Chiesa senza la presenza dello Spirito Santo, il quale ha il compito di rendere contemporaneo e credibile,

in ogni tempo e in ogni luogo, il Vangelo di Gesù, impedendo che esso rimanga una cosa del passato. Rivolgendosi allo Spirito Santo, il patriarca ortodosso Atenagora così si esprimeva:

«Santo Spirito, senza di te Dio è lontano, Cristo resta nel passato, l’evangelo è lettera morta, la chiesa una semplice organizzazione, l’autorità è potere, la missione è propaganda, il culto è un arcaismo e l’agire morale un agire da schiavi. Ma in te il cosmo si solleva e geme nelle doglie del Regno, Cristo Risorto si fa presente, l’evangelo è potenza di vita, la Chiesa diventa comunione trinitaria, l’autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano è partecipazione alla vita di Dio» (Atenagora)

La Chiesa è dunque sempre chiamata a respirare il respiro luminoso e vivificante di Cristo. Quel che è accaduto a Gerusalemme, 50 giorni dopo la Risurrezione, avviene sempre, e oggi avviene per ciascuno di noi: anche noi siamo immersi nello Spirito di Dio come nell’aria che respiriamo. A noi, dunque, accogliere questo straordinario respiro di Dio che ci riporta al cuore di Cristo e della sua Parola. Sta a noi accoglierlo e lasciarci trasformare da esso, affinché il nostro piccolo io possa dilatarsi nell’Io infinito di Dio.

«A coloro cui perdonerete i peccati saranno perdonati, a coloro cui non perdonerete non saranno perdonati»

Dalla pagina evangelica proclamata si evince che il Cristo risorto dona lo Spirito in vista della missione, e più specificamente in vista del perdono dei peccati. Ora, il perdono comporta una trasformazione che solo lo Spirito Santo può operare, e tuttavia lo fa attraverso di noi, tramite la comunità dei credenti.

Sì, il perdono dei peccati è l’impegno di tutti coloro che hanno ricevuto lo Spirito. Vi è un perdono che travalica il sacramento della confessione, riservato al ministro ordinato, e di cui tutti devono responsabili. Tuttavia, questo nostro impegno ad essere strumenti di perdono verso tutti, sotto la guida e alla luce della potenza dello Spirito, non sopprime lo spazio della libertà individuale. La misericordia non è mai senza verità e di fronte all’offerta del perdono, l’essere umano rimane sempre libero di accoglierlo o di rifiutarlo.

Perdonare significa confondere il male lì dove esso si manifesta; significa piantare oasi di riconciliazione e di pace là dove la violenza e la sopraffazione creano il deserto; significa abbattere i muri e creare ponti e strade che ci avvicinino gli uni agli altri; significa aprire le porte del cuore e della mente alla gioia della carità, contro la tentazione di rintanarsi nel proprio individualismo; significa riannodare la fiducia nelle nostre relazioni e ridare fiato alla speranza là dove le situazioni di indifferenza e di incomprensione sembrano paralizzare la vita.

Quando ci sentiamo perdonati e amati e offriamo ad altri questo stesso perdono e questo stesso amore, l’artefice di tutto ciò è Lui, lo Spirito.

Quando percepiamo dentro di noi una forza sconosciuta, e una pace e una gioia inusitate nel bel mezzo delle prove, la causa è ancora Lui, lo Spirito.

Quando il nostro sguardo riesce ad andare oltre le cose effimere e ad assaporare il senso profondo della vita è ancora Lui, lo Spirito, ad esserne all’origine.

Quando sappiamo fidarci della grazia di Dio che, nonostante le contraddizioni e le brutture di cui facciamo esperienza, agisce nella nostra vita e nel mondo, è sempre Lui, lo Spirito creatore, vivificante e santificante, a mantenere vive in noi la fede, la speranza e la carità.

Come diceva san Paolo VI, «la Chiesa – che siamo noi – ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo». E così sia.

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