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solennità di san benedetto patrono d'europa a san paolo fuori le mura

“La felicità promessa da Gesù va condivisa con gli altri”. Giovedì 11 luglio 2024, Solennità di San Benedetto Patrono Primario d’Europa, l’omelia dell’Abate Donato

“Mentre contempliamo nelle Beatitudini i tratti della felicità promessa da Gesù a coloro che lo seguono, non dimentichiamoci che tale felicità non è solo per noi, ma va condivisa con gli altri, poiché quello di cui il mondo ha bisogno è la testimonianza concreta del bene e la sua capacità di contrastare e vincere il male”

Abate Donato
Solennità di S. Benedetto
Mt 5,1-12 – Le Beatitudini

Il vangelo delle Beatitudini è il vangelo della felicità. Gesù afferma in maniera assertiva che quanti decidono di seguirlo possono raggiungere la vera beatitudine, ossia la vera felicità, non quella passeggera, ma quella che ha radici in Dio stesso. Sant’Agostino affermava che la feli­cità è uno dei no­mi di Dio, perché Dio desidera che tutti gli esseri umani siano felici, e Egli stesso è felice quando può mostrare loro la sua cura premurosa e il suo amore misericordioso!

La proclamazione delle beatitudini da parte di Gesù costituisce una sorta di magna charta della felicità cristiana, e ci indica come accedere alla vera beatitudine o felicità. Certo, sulle prime siamo come presi in contropiede, poiché le beatitudini proclamate da Gesù si contrappongono a quei canoni mondani di felicità tanto osannati dall’essere umano di tutti i tempi, e ai quali forse anche il nostro cuore non è del tutto indifferente: il potere, il successo, le ricchezze, i piaceri. La felicità prospettataci da Gesù stabilisce, invece, ben altri criteri: innanzitutto la conversione del cuore, da sintonizzare con quello di Dio, e poi l’assunzione del suo stesso sguardo, ossia quello sguardo di amore che Egli ha sugli altri, sulle cose e sul mondo. Alla luce di ciò, prendiamo brevemente in esame tre beatitudini, tra quelle proclamate.

Beati i poveri in spirito

Va ricordato che la prima beati­tudine, quella riguardante i “poveri in spirito”, è prima nella lista delle Beatitudini perché – intesa evangelicamente – la povertà di spirito è il terreno sul quale si innestano, e dal traggono la propria luce e la propria forza, tutte le altre beatitudini.

Detto questo, ci chiediamo: chi sono i “poveri in spirito” di cui parla Gesù? Sono coloro che, anziché puntare tutto su sé stessi, sulle proprie forze e capacità, lasciano spazio a Dio e lo accolgono nell’orizzonte della propria esistenza. Nel mentre ricercano senza sosta le sue tracce nei solchi della quotidianità e della storia, essi si affidano alla sua luce con fiducia e libertà interiore, consapevoli che la verità di sé stessi, delle cose e del mondo non sta nella loro materialità, ma nel loro rimando a Dio, Creatore di tutto. E proprio perché intendono vivere alla presenza di Dio, i poveri in spirito sono anche custodi della speranza, di quella speranza che, a sua volta, alimenta e fortifica la fede, come sottolinea a più riprese il N. S. P. Benedetto.

È chiaro che, perché Dio possa abitare le nostre esistenze, è necessario che ci impegniamo a perseguire un’armonia interiore che ci trattenga dal cadere vittime di una vita superficiale e dispersiva, fatta di virtualità più che di verità. L’umanesimo cristiano, a cui l’umanesimo benedettino si rifà, rifugge tutto ciò che è effimero per volgere l’attenzione a ciò che è essenziale, a ciò che ci fa davvero crescere, che ci dona pace e serenità, e che ci consente di trasmettere intorno a noi la gioia del Vangelo.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio

Gesù vuole seguaci che amino e abbiano a cuore la pace e, soprattutto, che la pace ce l’abbiano nel cuore. Scriveva sant’Agostino: «Basta che tu ami la pace ed essa sarà immediatamente con te. La pace è un bene del cuore. Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace».

Se siamo nella pace e dimoriamo saldamente in essa, potremo davvero far sì che essa ispiri la nostra vita, le nostre relazioni con gli altri e con il mondo. Se la pace non abita prima nel nostro cuore, smascherando quelle pretese egoistiche che vi si annidano e spegnendo in sul nascere ogni istinto di dominio, di sopraffazione, di violenza anche solo verbale sugli altri, non potremo mai essere «operatori di pace» (Mt 5,9). Solo i figli di Dio, i suoi amici, quelli che vivono alla sua presenza sono, per sua grazia, interiormente pacificati e resi capaci di essere, a loro volta, pa­cificatori.

Non è un caso che il Breve apostolico con il quale, sessant’anni fa, Paolo VI proclamò san Benedetto Patrono principale d’Europa, incominci con le parole: Pacis nuntius. La vita che il monaco intende perseguire, sulle orme di san Benedetto, è una vita tutta protesa alla pace, intesa in primo luogo come dono di Dio da accogliere e custodire, e poi come dono da far fruttificare, alla luce della gratuità dell’amore, nei contesti più variegati della quotidianità. Al riguardo ci vengono in aiuto le parole dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro» (Col 3,12-13).

La bellezza profetica della vita cenobitica benedettina risiede proprio in questo impegno quotidiano – difficile ma esaltante – a trasformare la semplice convivenza in “comunità”, ossia in un insieme di fratelli che – come dice l’etimologia del termine stesso cum munus – mettono in comune il proprio dono, quello che sono, che hanno e che fanno. È quella “convivialità delle differenze” di cui parlava il Venerabile Don Tonino Bello, convivialità che è ricerca di comunione e condivisione pacificante delle diversità.

Beati i perseguitati per la giustizia

Il N. S. P. Benedetto ci ricorda che nella fede è presente un “di più” che ci permette di sopportare ogni cosa «per amore della giustizia» (cf. Mt 5,10), anche quando ci si dovesse venire a trovare in situazioni nelle quali lo sconforto, le sofferenze e le lacrime per un’ingiustizia patita sembrano avere la meglio. A questo “di più” può essere dato il nome di “pazienza”. Nel quarto gradino della scala dell’umiltà, a cui è dedicato l’intero capitolo VII della sua Regola, san Benedetto parla ai suoi monaci dell’importanza dell’aggrapparsi a questa virtù nei momenti di prova: «Costoro – scrive san Benedetto – mettono in pratica il comandamento del Signore con la loro pazienza in mezzo alle avversità e agli insulti» (RB 7,42). Sì, la pazienza ci sostiene e ci aiuta ad attraversare indenni le prove della vita, perché in essa vi è il respiro lungo della fede e della speranza. Anzi, al pari di esse, anche la pazienza ha la sua casa in Dio, come afferma Tertulliano: «Dove c’è Dio, lì c’è anche la sua protetta, la pazienza». È essa che ci sostiene e ci aiuta ad attraversare indenni le difficoltà della vita.

Carissimi fratelli e sorelle, mentre contempliamo nelle Beatitudini i tratti della felicità promessa da Gesù a coloro che lo seguono, non dimentichiamoci che tale felicità non è solo per noi, ma va condivisa con gli altri, poiché quello di cui il mondo ha bisogno è la testimonianza concreta del bene e la sua capacità di contrastare e vincere il male. È lì che risiede la vera beatitudine! Interceda per noi il S. P. Benedetto. E così sia.

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