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Solennità del Corpus Domini

Solennità del Corpus Domini 2023 Omelia del Rev.mo Abate Ogliari

Come è noto, Giovanni è l’unico evangelista che non riporta la narrazione dell’Ultima Cena di Gesù e l’istituzione dell’Eucaristia, e tuttavia è quello che, più degli altri, riflette sul significato di quest’ultima. Nel capitolo 6 del suo vangelo troviamo, infatti, un lungo discorso sul “pane” che è un profondo insegnamento sull’Eucaristia. Soffermiamoci su alcuni aspetti presenti nel brano evangelico proclamato e che illuminano questo mistero centrale della nostra fede.

«Io sono il pane vivo disceso dal cielo»

Gesù si era già definito come “pane che dà la vita”. Ora si spinge oltre e afferma di essere il “pane vivo”, ossia un pane che dà la vita perché pulsa di vita esso stesso. È, cioè, un pane che si mantiene sempre fresco, come il pane di giornata, che non perisce e non perde mai le sue proprietà, e che perciò è in grado di nutrire senza limiti. La motivazione portante risiede nella condizione di questo pane: esso viene “dal cielo”, non appartiene alla terra.

E tuttavia, più avanti, Gesù dice: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Nell’adoperare il termine “carne”, Gesù afferma una cosa molto importante, e cioè che la vita di Dio ci è comunicata attraverso l’umanità del Figlio incarnato. Dio ha scelto di venirci incontro inviando il suo Figlio Gesù nel mondo perché assumesse la nostra stessa carne, per cui non possiamo giungere a comprendere il Cristo e a condividere la vita divina di cui è portatore se non passando per quell’umanità che Egli ha assunto e che è la nostra. Ma quel che stupisce ulteriormente è l’estensione con cui Gesù ha voluto far sua tale assunzione, prolungandola, anche dopo la sua morte e risurrezione, nel dono dell’Eucaristia, con la quale ha voluto farsi presente in maniera continuativa nel tempo e nella storia.

Quando poi Gesù dice: «Se non mangiate la carne del figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita», egli si si rifà all’immagine dell’agnello pasquale che gli Ebrei avevano mangiato la notte in cui stavano per lasciare l’Egitto e guadagnare la libertà, dopo la lunga schiavitù. In quell’occasione Mosè aveva anche comandato di aspergere gli stipiti delle proprie case con il sangue dell’agnello pasquale, afinché l’angelo sterminatore – che sarebbe giunto per uccidere i primogeniti degli Egiziani, colpisse solo le loro case e risparmiasse quelle degli Ebrei. Ebbene Gesù è l’agnello immolato che ci nutre con la propria carne e il proprio sangue e ci dà la capacità di intraprendere il viaggio verso la piena libertà, introducendoci nella vita eterna, come dice subito dopo. «Chi mangia (mastica) la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna»

È interessante notare come nell’originale greco il verbo che qui è tradotto con “mangiare”, in realtà andrebbe tradotto con “masticare” (trogo). Già il suono dà l’idea di qualcosa di rozzo e primitivo. Col dire: “chi mastica/spezzetta la mia carne”, Gesù vuol mettere in evidenza che l’adesione a Lui non consiste in più propositi, ma in un’adesione concreta, che consiste nel diventare un tutt’uno con Lui, proprio come avviene con il cibo che mastichiamo e ingeriamo e che diventa una cosa sola con noi.

È solo allora, quando cioè questa adesione concreta a Gesù si realizza, che il credente ha la vita eterna. Questo è il mistero ineffabile dell’Eucaristia: non solo in essa è presente realmente Cristo, ma cibandoci di Lui siamo inseriti anche noi, già fin d’ora, nell’eternità di Dio. Si noti, tra l’altro, che Gesù non usa il verbo al futuro. Non dice, cioè: “avrà la vita eterna”, ma impiega il verbo al presente e dice: “ha la vita eterna”. Quest’ultima, infatti, non consiste in un premio futuro per chi si comporta bene quaggiù, ma nella possibilità di sperimentare già fin d’ora, nella nostra quotidianità, una qualità di vita che affonda le sue radici nella vita stessa di Dio. Per chi si ciba dell’Eucaristia la vita eterna è già qui, purché, cibandoci di essa, facciamo della nostra vita – sull’esempio di Gesù – un dono d’amore per gli altri. Sì, quando apriamo la nostra vita al dono insieme con Gesù Eucaristia, noi l’apriamo alla vita eterna, al Dio che è amore.

I verbi mangiare/masticare e bere, ripetuti più volte nel brano evangelico proclamato, ci dicono dunque che cibarci dell’Eucaristia ci fa entrare in una comunione esistenziale e profonda con Gesù, il quale continua a darci la sua vita affinché anche noi impariamo a dare la nostra. Noi “mastichiamo” la sua carne e “beviamo” il suo sangue quando assimiliamo e facciamo nostro il modo di vivere di Gesù, quando Lui diventa la misura della nostra vita, di una vita che si realizza donandosi. Lo ha detto Gesù stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». In questo sta il segreto della nostra vita cristiana: cibandoci dell’Eucaristia, Cristo viene a dimorare in noi e noi in Lui.

Come scrive san Giovanni Crisostomo, «nella comunione il cuore assorbe il Signore e il Signore assorbe il cuore, così i due diventano una cosa sola». O come afferma sant’Agostino in maniera ancora più pregnante: «Vos estis quod accepistis

– Voi siete quello che avete preso/assunto». Davvero qui comprendiamo come, più che un insieme di comandamenti da osservare, il cristiano ha una vita nuova da assimilare, quella di Gesù, nella quale è condensata la verità, la bellezza e la profondità dell’amore a Dio e al prossimo. Sì, perché l’Eucaristia non è qualcosa di privatistico, qualcosa che avviene solamente tra me e il Signore, o qualcosa che si consuma all’interno della celebrazione liturgica. È un evento che crea comunione e unità con tutti coloro che – come me – si cibano dello stesso Cristo, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo (cf. 1Cor 10,16-17). La partecipazione all’Eucaristia è un evento che deve ripercuotersi nelle pieghe della nostra quotidianità traducendosi in una vita non chiusa in sé stessa, ma aperta e condivisa. Come il Padre ha mandato il Figlio per essere la manifestazione visibile di un amore senza limiti, così quanti si cibano di Gesù sono chiamati a spalancare la propria vita non solo all’amore per Lui, ma anche all’amore per i fratelli e le sorelle. Solo così l’Eucaristia sarà vissuta nel suo significato autentico, quello che Gesù le ha impresso per sempre.

In questa prospettiva, prendendo spunto dalla prima lettura (cf. Dt 8,2-3.14b-16a), facciamo nostro anche l’appello a “non dimenticare”, ossia a “ricordarci” di tutto quello che il Signore ha fatto per noi e di quello che egli vuole che noi facciamo, in ordine al dono di noi stessi, agli altri. E così sia.

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