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29 giugno 2023, Solennità dei Santi Pietro e Paolo. L’omelia dell’Abate Donato

Solennità dei Santi Pietro e Paolo, Messa del giorno presieduta dal Rev.mo Abate Donato

Questa mattina, giovedì 29 giugno, nella gremitissima Basilica di San Paolo fuori le mura, l’abate Donato ha presieduto la solenne celebrazione Eucaristica e la statio presso la Confessione dell’Apostolo Paolo.

 

Il testo integrale della sua Omelia:

 

PIETRO e PAOLO

Messa del giorno

La fede cristiana non si fonda su una teoria filosofica o su ragionamenti umani, ma su fatti veramente accaduti alla persona di Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, fatti che hanno il loro apice nel suo mistero di morte e risurrezione.

Ora, questa fede nel Cristo incarnato, morto e risorto per la nostra salvezza ci è stata trasmessa dalla testimonianza degli Apostoli, di coloro, cioè, che hanno vissuto con Lui e che lo hanno incontrato anche dopo la sua morte nella sua nuova dimensione di Risorto. La nostra fede si basa sul fondamento degli apostoli, la cui testimonianza è confluita nel NT ed è stata trasmessa dalla Tradizione vivente della Chiesa, attraverso la sua predicazione, le sue celebrazioni, la sua testimonianza.

Pietro e Paolo sono le colonne della Tradizione apostolica che ci ha tramandato il Vangelo di Gesù. E mentre il primo lo ha seguito sin dall’inizio della sua attività pubblica e ha vissuto con Lui fino alla sua morte e risurrezione, il secondo è stato “afferrato” dal Cristo sulla via di Damasco, e quell’evento lo ha trasformato da persecutore in apostolo indefesso del Vangelo.

Entrambi, poi, hanno dato la vita per Cristo: Pietro, secondo la tradizione, sarebbe stato crocifisso a testa in giù, per sua stessa volontà; Paolo, invece, fu decapitato ad Aquas Salvias, nel luogo dove oggi sorge l’Abbazia delle Tre Fontane, e fu in seguito sepolto nel cimitero di via Ostiense, nel luogo dove oggi sorge questa grandiosa Basilica.

Pietro e Paolo, accomunati dalla sequela di Gesù e dall’offerta della propria vita per Lui e per il suo Vangelo, sono – come canta la Liturgia – «i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore» (Ap 11,4), e che noi oggi contempliamo e celebriamo per trarre da essi ispirazione e incoraggiamento per il nostro cammino.

 

L’Apostolo Paolo (cf. Seconda Lettura: 2Tim 4,6-8.17-18)

«6Io infatti sto per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. 7Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. 8Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. (…) 17 Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. 18Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen»

Giunto al termine della sua vita, Paolo volge uno sguardo retrospettivo al suo operato e lo sintetizza con tre immagini.

La prima immagine è di carattere cultico («Io infatti sto per essere versato in offerta»: v. 6) e richiama il rito della libagione, che consisteva nel versare del vino sul braciere in modo che, evaporando, si diffondesse nell’aria, verso l’alto, ossia verso Dio. Con questa immagine Paolo – che si sente ormai vicino alla fine – vuole indicare che la sua vita sta per essere offerta al Signore una volta per tutte.

a seconda immagine è militaresca e allude alla battaglia che – una volta divenuto cristiano – Paolo ha dovuto affrontare («Ho combattuto la buona battaglia»: v. 7). In che cosa fosse consistita questa battaglia, ce lo dice nella Seconda Lettera ai Corinti: «Ho incontrato fatiche (…) prigionie (…) percosse (…) pericolo di morte (…) cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità» (2Cor 11,23-27). Si può ben dire che Paolo abbia combattuto una battaglia per il Vangelo davvero difficile, una battaglia per la quale non si è risparmiato.

La terza immagine ha un sapore sportivo («Ho terminato la corsa»: v. 7). Come l’atleta che, pur di raggiungere la vittoria, si sottopone alla tensione e alla fatica della gara, così Paolo ha profuso tutte le sue energie pur di raggiungere la “corona di giustizia”, quella che non appassisce e che lo introduce nella vita di Dio (cf. 1Cor 9,25).

In tutto questo Paolo ha conservato intatta la fede, e non tanto a motivo di qualche sua abilità personale, ma perché si è sempre sentito accompagnato e protetto dalla mano del Signore e sostenuto dalla sua grazia: «Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza» (v. 17).

 

L’Apostolo Pietro (cf. Vangelo: Mt 16,13-19)

«13Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”. 14Risposero: “Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. 15Disse loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. 16Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. 17E Gesù gli disse: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che

scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”».

«La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo? (…) Ma voi, chi dite che io sia?»

Dopo aver posto una domanda generica ai suoi discepoli su chi dicesse la gente che egli fosse, Gesù ne indirizza loro una personalizzata: « Ma voi, chi dite che io sia?». È interessante notare che Gesù non chiede loro: Quale insegnamento, tra i molti che vi sto lasciando, vi ha maggiormente colpito?

Quel che chiede ai suoi discepoli è che cosa essi personalmente pensino della sua identità: «Ma voi, chi dite che io sia?». Può sembrare una domanda banale, ma in realtà è una domanda molto profonda, perché dalla descrizione che essi daranno della sua identità emergerà anche il tipo di rapporto che essi hanno instaurato e intrattengono con Lui.

Oggi, quella domanda raggiunge anche noi e ci fa comprendere che, per essere autentico, il nostro essere cristiani, ancor prima che in una dottrina o in una morale, deve avere il suo radicamento in un rapporto personale con Gesù, nostro Signore e nostro Dio. È all’interno di tale rapporto che l’esperienza del sentirci da Lui amati nutre e accompagna il nostro desiderio di seguirlo.

In fondo, anche per noi, come per Paolo, si tratta di lasciarci afferrare, da Gesù e di vivere in profonda sintonia con Lui e con le esigenze del suo Vangelo. La vita cristiana non avanza sulla base di formule dottrinali, ma grazie alla passione che sentiamo per Lui, Gesù, e per il suo Vangelo, grazie alla disponibilità interiore a lasciarci illuminare e guidare da essi per essere loro testimoni credibili nel mondo.

Inoltre, la domanda personalizzata rivolta da Gesù ai suoi discepoli ci dice che la fede non è delegabile, nel senso che l’atto di fede in Gesù dev’essere assunto e fatto proprio personalmente, e va rinnovato ogni giorno alla luce del suo Vangelo, perché la fede non può essere fossilizzata, come se fosse un oggetto da museo, ma ha sempre bisogno di maturare e crescere. Come è stato scritto, «nella vita, più che le risposte, contano le domande, perché le risposte ci appagano e ci fanno stare fermi, le domande, invece, ci obbligano a guardare avanti e ci fanno camminare» (Pier Luigi Ricci).

Non va poi dimenticato che il nostro rapporto con Gesù è inestricabilmente legato con quello dei nostri fratelli e sorelle. Infatti, nella misura in cui ci affidiamo a Gesù e cerchiamo di corrispondere al suo amore per noi, siamo anche sollecitati ad aprire il nostro cuore ai fratelli e alle sorelle che ci circondano, per riversare su di loro la benevolenza che il Signore ci mostra. Questa è la logica dell’amore che Egli ci ha insegnato: Egli ci ama gratuitamente non perché noi tratteniamo questo suo amore, ma perché lo possiamo trasmettere agli altri.

Infine, come abbiamo sentito, è Pietro che, a nome di tutti gli altri apostoli, risponde alla domanda di Gesù, e lo fa con parole che hanno tutto il sapore di una professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Va qui ricordato che nella Bibbia “figlio” è un termine con cui si designa colui che compie le opere del padre. In questo caso, Gesù è uno che fa ciò che Dio suo Padre fa, e così facendo rende visibile e manifesta agli uomini la vita stessa di Dio. Poiché Egli è il Figlio del Dio Vivente, la sua missione sulla terra consiste nel far vivere Dio in mezzo a noi; ci fa vedere e toccare il Dio che è sorgente della vita, intimamente intrecciato con essa. Sì, quella che Pietro fa, è una vera e propria professione di fede nel Dio della vita!

La risposta che Gesù dà a Pietro contiene, dal canto suo, un messaggio sorprendente: «Su questa pietra edificherò la mia Chiesa… A te darò le chiavi…». I due simboli qui utilizzati sono la pietra e le chiavi.

Pietro è pietra per la Chiesa e per l’umanità nella misura in cui proclama apertamente che Dio si è reso visibile nel Figlio suo Cristo Gesù, nel quale anche noi siamo diventati figli di Dio. Egli è pietra nella misura in cui non cessa di annunciare che il Cristo è venuto a rivelarci l’amore di Dio, il bene che Egli vuole a tutta l’umanità della qual vuole condividere gioie e dolori. Questa è la roccia sulla quale Pietro è chiamato ad edificare la Chiesa nella verità e nella carità di Cristo. Pietro, poi, riceve anche le chiavi, simbolo della Chiesa che ci introduce nel Regno dei Cieli dove la vita è chiamata a fiorire.

Ora, siccome Pietro – come dice sant’Agostino – è la personificazione della Chiesa, la consegna fatta da Gesù a Pietro raggiunge anche tutti noi. Anche noi, infatti, siamo chiamati a diventare in qualche modo pietra e chiave: pietra che dà appoggio, sicurezza, stabilità al fratello/sorella che mi è affidato/a, che vive una difficoltà o sofferenza, che è scoraggiato e deluso; chiave, per aprire le nostre relazioni alla prossimità, alla condivisione, alla riconciliazione, grazie alle quali costruire un mondo migliore.

Come scrive sant’Agostino, «amiamo dunque la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione» dei santi Apostoli Pietro e Paolo e chiediamo al Signore – per loro intercessione – di essere anche noi gioiosi testimoni del suo Vangelo nel mondo. E così sia!

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