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S.Natale 2024, Messa del giorno: l’Omelia dell’Abate di S.Paolo fuori le Mura, Dom Donato Ogliari

S. NATALE 2024
Messa del Giorno
Gv 1,1-18

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»

Il famoso Prologo del Vangelo di Giovanni celebra e contempla il Verbo, un termine latino che sta per “parola”, e più precisamente per “Parola di Dio”. Non si tratta, però, della parola che Dio pronuncia, ad esempio quando ha creato l’universo o quando ha parlato agli uomini attraverso i suoi profeti. Si tratta piuttosto di una Parola personale, una Parola che, appunto, “è” in principio, che gode, cioè, di una condizione permanente all’interno di Dio stesso.

Questa Parola – scrive l’evangelista Giovanni – «era presso Dio» ed «era Dio». Il suo significato vero è che la Parola non era solamente collocata vicino a Dio, ma che la sua intima struttura è quella di essere costantemente orientata verso di Lui, il Padre suo, in modo da essere un tutt’uno con Lui, in un atteggiamento di profondo ascolto e obbedienza e, di conseguenza, in perfetta consonanza con la sua volontà. Una volta fattasi carne, questa Parola continuerà ad essere trasparenza del Padre attraverso le parole e le azioni di Cristo Gesù, il Figlio di Dio che – come ci ha ricordato la 2ª lettura – «è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,1-6).

«In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini»

Poiché la Parola di Dio condivide permanentemente la vita divina, ne consegue che anche quando si è incarnata in Gesù non ha smesso di emanare vita e luce a beneficio degli uomini. Vita e luce sono, infatti, due simboli inseparabili poiché «una vita senza luce – senza progetto e direzione – non è più vita», così come «la luce da sola non è vita» (B. Maggioni).

«La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno vinta»

Poiché la natura della luce è quella di brillare, altrimenti non sarebbe luce, anche la Parola di Dio fatta carne, Gesù, non può fare a meno di illuminare noi uomini, tanto più che essa è portatrice di una luce che non può essere spenta, cioè non può essere vinta. Certo, rimane la possibilità di rifiutarla, nascondendosi da essa e scegliendo deliberatamente di rimanere avvolti nelle tenebre, vagando nel buio alla ricerca di un senso duraturo al di fuori del Cristo-Luce. Ma il rifiuto della luce che è Cristo – lo ribadiamo – non la diminuisce né la elimina.

Non va dimenticato, al riguardo, che il verbo greco utilizzato dall’evangelista Giovanni per indicare la possibilità di non accogliere e di rifiutare, racchiude infatti, come significato, anche quello dell’incapacità di rinchiudere o imprigionare la luce che è Cristo E allora, se è vero che Lui e il suo Vangelo possono essere rifiutati, è altrettanto vero che nessun rifiuto riuscirà mai a imprigionare la luce e a far tacere la verità che promanano da essi. A quanti, invece, si lasciano rischiarare dalla luce che è Cristo, Parola di Dio fatta carne, e la accolgono nella propria vita anche quando essa è esigente e radicale, è «dato potere di diventare figli di Dio», di godere, cioè, della prossimità e della paternità di Dio Padre, della sua protezione e del suo sostegno.

«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»

Si tratta delle parole centrali del brano evangelico ascoltato, quelle verso cui tende tutto il Prologo del Vangelo di Giovanni. La Parola, che era presso Dio ed era Dio, non disdegna di farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi.

Non è un caso che l’evangelista Giovanni utilizzi il termine “carne”, più crudo rispetto a quello di “uomo”. In tal modo risulta più evidente che la Parola di Dio, cioè Cristo Gesù, ha veramente assunto la nostra vita umana in tutti i suoi risvolti, ad eccezione del peccato. Ciò significa che anche lui, Gesù, ha conosciuto la caducità e i limiti legati alla nostra condizione umana, sperimentando la fatica, i disagi, le sofferenze inerenti alla nostra vita terrena che egli ha voluto far sua.

Non va dimenticato, infine, che, incarnandosi, il Figlio di Dio ha anche vivificato la nostra carne, l’ha, cioè, riscattata dal potere del Nemico, dalle lusinghe del male e del peccato, e l’ha aperta alla ricerca del bene unitamente alla gioia del dono di sé.

Alla luce delle parole del Prologo di Giovanni, oggi solennemente proclamate, possiamo allora sintetizzare il senso della celebrazione del Natale cristiano con le parole di un’antifona latina che viene cantata nel periodo natalizio e che comincia così: “O admirabile commercium – O meraviglioso scambio”. Questo scambio che l’antifona descrive consiste nel fatto che nascendo in mezzo a noi e assumendo la nostra carne mortale, il Figlio di Dio ha portato con sé la sua divinità e l’ha inserita – per così dire – nella nostra umanità. In altre parole: Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio, ossia entrare in comunione con la vita divina e prendervi parte fin da ora, traendo da essa la sua luce e la forza per dirigere i passi del suo peregrinare su questa terra, in attesa di ricongiungersi con Lui nell’eternità beata.

Questo è il dono immenso racchiuso nella nascita di Gesù. E allora, sorelle e fratelli carissimi, chiediamogli di donarci occhi colmi di fede, capaci di penetrare e vivere questo grande mistero, e un cuore umile, capace di cogliere i palpiti del cuore di Dio, fonte del vero amore, quell’amore che ci aiuta a camminare sereni tra le difficoltà e le asperità della vita, portando gioia dove c’è tristezza e pace dove c’è rancore o odio. Questo il mio augurio, che si fa preghiera, per ciascuno di noi e per il mondo intero che continua ad anelare alla concordia e alla pace.  E così sia!

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