Anno nuovo 2025 elogio della Speranza
All’inizio di questo nuovo anno, desidero offrire alcune riflessioni sulla speranza prendendo spunto da un’operetta morale di Giacomo Leopardi dal titolo: Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere. Di tale operetta è stato realizzato anche un cortometraggio (facilmente rinvenibile su YouTube), curato dal regista Ermanno Olmi e arricchito dalla mirabile interpretazione di Paolo Pampurini (il venditore) ed Enzo Tarascio (il “passeggere”).
Mi limiterò qui a riportare la conclusione del dialogo avvenuto, in prossimità dell’anno nuovo, tra il “passeggere” e il venditore di almanacchi, dialogo che si protrae incalzante, con una fitta serie di battute circa la possibilità che l’anno nuovo possa essere davvero felice. Il dialogo sfocia nella constatazione che la felicità che ci si augura all’inizio di ogni nuovo anno in realtà non esiste, perché la felicità appartiene a un futuro che si spera sempre possa essere migliore del presente. Così, infatti, conclude il venditore: «Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura».
Ci chiediamo allora: davvero una vita felice non è sperimentabile quaggiù? Davvero essa appartiene solo a un futuro che non diventerà mai presente?
Al di là del pessimismo che caratterizza il pensiero leopardiano, va innanzitutto precisato che la felicità a cui tutti aspiriamo non ha nulla a che vedere con una visione edulcorata della vita, che certe riviste patinate o certi programmi televisivi cercano di propinarci, né ha qualcosa da spartire con quella retorica stucchevole di chi è sempre pronto a somministrare facili ricette sul come essere felici. Dall’altra, però, dobbiamo anche guardarci dal cedere a una visione pessimistica della vita, come quella incarnata dallo scrittore statunitense Ambrose Gwinnett Bierce, il quale definisce l’anno civile un «periodo fatto di 365 delusioni»!
Di sicuro, la felicità non è uno stato d’animo circoscrivibile una volta per tutte, soprattutto perché essa va compresa sullo sfondo della complessità della vita, di una vita, cioè, che nella sua concretezza non è priva di asperità e di sofferenze che sembrano contraddire le aspettative di felicità che albergano nel nostro cuore.
L’antidoto contro l’estinzione di ogni aspettativa o desiderio di felicità che portiamo in cuore – e dunque contro lo spegnimento di questa stessa aspirazione – ci viene proprio dalla speranza. L’importanza che essa riveste nella nostra vita – codificata nell’espressione «la speranza è l’ultima a morire» – ha trovato il suo massimo riscontro nel cristianesimo. Quest’ultimo, infatti, l’ha talmente magnificata da collocarla – accanto alla fede e alla carità – nell’empireo delle virtù teologali, di quelle virtù, cioè, che, fanno riferimento diretto a Dio e che fanno percepire ai credenti la Sua presenza provvida e amorosa, presenza che li illumina e li sostiene nel viaggio, spesso faticoso, della vita.
In realtà, ogni essere umano trova istintivamente nella speranza un appiglio per affrontare i momenti più difficili e bui della propria esistenza. C’è chi spera, ad esempio, di trovare un lavoro dignitoso, di guarire da una grave malattia, di superare una crisi coniugale, familiare o economica. Tante sono le speranze umane – magari di piccolo cabotaggio, ma non per questo meno genuine e oneste – che costellano la nostra vita quotidiana! Ebbene, il credente nutre la consapevolezza che la speranza cristiana radicata in Dio, nel mentre sostiene le sue speranze più genuine, quelle umane, lo aiuta anche ad attraversare i rovesci della vita e le inevitabili delusioni e sofferenze che essa porta con sé, preservandolo dal cedere allo scoraggiamento e dal soccombere alla sfiducia e alla disperazione. La speranza cristiana lo aiuta a guardare in alto e oltre!
Alla luce della speranza cristiana, la felicità alla quale ogni essere umano aspira, non rimane dunque una mera “speranza di felicità”, poiché quest’ultima riaffiora continuamente nelle pieghe della vita quotidiana, ogni qualvolta queste pieghe sono abitate e vissute con uno sguardo positivo sul mondo e sugli altri, e con uno sguardo fiducioso sul futuro. Non basta, infatti, che affidiamo quest’ultimo ai risultati, per quanto mirabolanti, della scienza e della tecnica, o ai propositi – spesso, ahimè, deludenti – di quanti sono primariamente responsabili del benessere dei popoli e della salvaguardia di quella “casa comune” che è il nostro pianeta. Occorre che il nostro sperare non rimanga un esercizio astratto o affidato ad altri, ma sia coltivato o – come dice papa Francesco – la speranza sia organizzata nella vita concreta di ogni giorno, sia a livello personale che comunitario, per il tramite di parole e gesti improntati alla comprensione e all’accoglienza dell’altro, alla benevolenza, alla solidarietà, alla giustizia e alla pace. È lì che la felicità fa capolino!
Nel 2025, come è noto, si celebra nella Chiesa cattolica un Anno giubilare che ha per tema: “Pellegrini di speranza”. L’associazione del termine “pellegrino” a quello di “speranza” ci fa comprendere che quest’ultima non è una virtù statica, ma una virtù sempre in movimento, che ha bisogno, cioè, di essere continuamente ravvivata e accresciuta, poiché in quanto credenti in Cristo Gesù, nostra unica speranza, noi siamo chiamati ad abbondare in questa virtù, come scrive l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani (cf. Rm 15,13).
Facendo eco a questa esortazione dell’apostolo Paolo, papa Francesco, nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare, scrive: «Sì, abbiamo bisogno di “abbondare nella speranza” (…) per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza» (Spes non confundit, n. 18).
E allora, caro amico, cara amica, lasciamo che la luce della speranza brilli, vivida, chiara e avvolgente, nel nostro cuore e nella nostra vita. Non lasciamocela rubare, ma afferriamoci ad essa saldamente affinché i nostri giorni, i giorni dell’anno che abbiamo appena iniziato non siano una sequela di delusioni, ma rappresentino 365 opportunità nelle quali scorgere e sperimentare quelle semplici ma genuine gioie che il Signore Gesù dispone sul nostro cammino e che della felicità sono il tramite quotidiano. Buon anno nuovo!