“Attingiamo dal Signore risorto la linfa che ci permette di risorgere quotidianamente”, Domenica di Pasqua a San Paolo fuori le Mura
DOMENICA DI PASQUA 2025
RISURREZIONE DEL SIGNORE
Gv 20,1-9
Ripercorriamo brevemente il brano evangelico appena proclamato. La prima scena ci presenta Maria Maddalena che, nel primo giorno della settimana, di buon mattino, quando era ancora buio, si reca al sepolcro dove era stato posto il corpo di Gesù. Senza dubbio ci va sospinta dalla forza irresistibile dell’amore riconoscente per il suo Maestro e Signore, Colui che l’aveva fatta rinascere a vita nuova liberandola da sette demoni (cf. Mc 16,9; Lc 8,2), espressione – questa – che sembra indicare una grave malattia dalla quale la Maddalena era affetta e dalla quale, appunto, Gesù l’aveva guarita.
Giunta al sepolcro, Maria Maddalena lo trova vuoto e non le resta che costatare che il corpo di Gesù non era più là dove lei stessa l’aveva visto deporre dopo la sua morte in croce. Quel sepolcro vuoto, che, preso in sé stesso, rimane un segno ambiguo, genera sconcerto e dolore nell’animo della donna, non ancora raggiunto e illuminato dalla luce della risurrezione di Gesù.
La seconda scena ci mostra Maria Maddalena che corre da Pietro e dal discepolo che Gesù amava, Giovanni, per avvisarli di quanto, secondo lei, era accaduto: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Alla corsa della Maddalena segue quella, a ritroso, dei due apostoli. Essi escono senza indugio dal Cenacolo (luogo nel quale si trovavano rinchiusi per paura dei Giudei) e intraprendono quella che potremmo definire la “corsa della fede”, una fede che, da una parte, cerca di capire che cosa sia successo al corpo di Gesù e, dall’altra si affida alla chiaroveggenza dell’amore che li spinge ad uscire dalla logica della paura per andare a cercare il Signore su vie inedite e inesplorate.
La terza scena racconta l’arrivo degli apostoli al sepolcro e ciò che essi vedono, ossia i teli posati là, e il sudario avvolto in un luogo a parte. Come il sepolcro vuoto, anche questi oggetti veicolano un significato ambiguo. Da soli, infatti, essi non sono ancora la prova che Gesù sia risorto. E tuttavia costituiscono un primo passo verso il riconoscimento della Risurrezione di Gesù, basato su un semplice ragionamento: se qualcuno avesse davvero portato via il corpo di Gesù – come credeva Maria Maddalena – non si sarebbe preso la briga di scioglierlo dai teli e, addirittura, di piegare accuratamente il sudario e deporlo in disparte! Qualcosa, dunque, di ineffabile e misterioso doveva essere successo!
Ricapitolando, possiamo dire che la fede della Chiesa nascente – qui rappresentata da Maria Maddalena, Pietro e Giovanni – prende forma a partire da un corpo assente. Anche se nessuno è stato testimone oculare della risurrezione di Gesù, l’assenza del suo corpo nel sepolcro fa intuire – e poi credere – che la morte non sia stata per lui l’ultima parola, che qualcosa di straordinario dev’essere successo e che Gesù, risorgendo, abbia davvero inaugurato il passaggio dalla morte alla vita nuova, come egli stesso aveva predetto ai suoi discepoli. Come in un crescendo, questa consapevolezza appare in maniera più esplicita nell’apostolo Giovanni. Di lui, infatti, si dice che, entrato nel sepolcro, “vide e credette”. Al “vedere” è seguito, cioè, l’abbraccio della fede, il “credere”.
Se la risurrezione di Gesù è la chiave di volta della fede cristiana – come ci ricorda l’apostolo Paolo quando afferma che se Cristo non fosse risorto vuota e vana sarebbe la nostra fede (cf. 1Cor 15,14-17) – la fede, da parte sua, richiede di essere abbracciata e vissuta con l’assenso del cuore, della mente e della vita.
Verrebbe da chiederci: che cosa vediamo noi ogni giorno? Riusciamo a cogliere e decifrare le tracce luminose che la presenza del Cristo risorto dissemina sul nostro cammino? O rimaniamo chiusi egoisticamente nel cenacolo delle nostre pseudo-sicurezze? È vero che spesso il Signore risorto cammina al nostro fianco in incognita – come ha fatto con i due discepoli di Emmaus – ma se in noi c’è un cuore che arde, prima o poi esso sarà inondato di luce e i nostri occhi saranno pieni di senso!
Se dunque la nostra fede fosse piccola e vacillante, chiediamo con insistenza al Signore di aumentarla, di irrorarla con a luce e la forza che promanano dal suo mistero pasquale di morte e risurrezione.
Certo, se oltre a guardarci dentro, allarghiamo lo sguardo attorno a noi, incontreremo non pochi motivi per dubitare che il Risorto sia davvero presente, operante e vivo nella nostra vita e nel fondo di ogni realtà. Come cogliere la presenza del Risorto quando si è confrontati col peso spesso indecifrabile della sofferenza, del dolore, della violenza, dell’odio e delle guerre che continuano ad insanguinare il nostro pianeta? Tutto ciò sembrerebbe deporre a favore dell’assenza del Risorto dalla scena di questo mondo. E tuttavia, noi crediamo che Egli– come seme vivificante – sia proprio lì dove l’angoscia e la disperazione sembrano aver la meglio. La nostra speranza, fondata sulla fede nella vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, ci aiuta a intravedere spiragli di luce anche là dove le tenebre sembrano più fitte e impenetrabili, non solo nella nostra vita personale ma anche nelle pieghe contradditorie della storia.
Sorelle e fratelli carissimi, celebrando la Pasqua e rinnovando la nostra fede nel Signore risorto, “nostra unica Speranza”, attingiamo da Lui la linfa che ci permette di risorgere quotidianamente, che ci fa rialzare e ripartire dopo ogni caduta, dopo ogni delusione, dopo ogni angoscia; la linfa che ci consente di non arrenderci all’enormità del male che viene commesso in ogni parte del mondo e che, in qualche modo, si riflette in ciascuno di noi; la linfa che ci rende generosi e gioiosi testimoni del suo Vangelo qui e adesso.
E non smetta di albergare in noi la certezza che «anche se Cristo sembra allontanato dalla casa del mondo, egli è nella stanza più intima del mondo. E coloro (…) che vogliono cieli nuovi e una nuova terra, sanno che la Pasqua matura come un seme di luce nella terra, come un seme di fuoco nella storia» (E. Ronchi). E così sia!















































