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Veglia nella Notte di Pasqua 2024. L’omelia dell’Abate di San Paolo fuori le Mura

VEGLIA NELLA NOTTE DI PASQUA 2024

Anno B – Mc 16,1-7

1Passato il sabato, Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». 4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».

Come abbiamo sentito dalla proclamazione del brano evangelico, le donne si erano recate al sepolcro di buon mattino, al levar del sole, per rendere al corpo straziato del loro Signore e Maestro Gesù l’ultimo tributo di affetto: l’unzione con gli oli aromatici. Si trattava di un atto di pietà che, in realtà, avrebbe dovuto precedere la sepoltura, ma che, nel caso di Gesù, non si era potuto fare dopo la sua morte perché quest’ultima era avvenuta di venerdì, il giorno di “Parasceve”, giorno dedicato alla “preparazione” della festa di Pasqua.

Quel che balza subito all’occhio nel racconto evangelico è il contrasto tra la luce incipiente del giorno – una luce esterna – e il buio che ancora avvolgeva il cuore delle donne, rattristato e ottenebrato dalle vicende dolorose del Venerdì Santo. Per loro, infatti, la morte di Gesù aveva rappresentato l’ultimo atto di un’avventura terminata tragicamente. Ne è indice la stessa preoccupazione che le agitava a proposito del sepolcro sigillato: «Chi farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Ai loro occhi con il seppellimento di Gesù e la sigillatura del sepolcro tutto era davvero finito.

Similmente, la paura, provata alla vista del giovane in bianche vesti (un angelo) seduto all’interno del sepolcro, conferma che nel loro cuore non albergava più alcuna speranza, neppure rispetto alla nuova vita che pure Gesù aveva prospettato parlando della sua risurrezione. È su questo sfondo che a quelle donne, impaurite e chiuse nel loro dolore, viene improvvisamente spalancato un futuro nuovo – quello inaugurato da Gesù risorto – sintetizzato nelle parole dell’angelo: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui».

«È risorto, non è qui»

Gesù non può essere lì, in quel sepolcro, perché non può rimanere prigioniero della morte colui che è Signore della vita! Risorgendo e trionfando sulla morte fisica, Gesù ci ha rivelato di essere in grado di prevalere su qualsiasi forma di morte, non solo biologica, ma anche morale e spirituale; di poter aprire e frantumare «tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, l’egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza hanno murato gli uomini vivi» (T. Bello).

Il Signore non può risiedere là dove hanno la meglio le tenebre, né quelle paralizzanti della paura né quelle ineluttabili della morte. Se Gesù è morto ed è disceso nel regno dei morti, lo ha fatto per manifestare che la sua signoria è fatta di luce e per la luce, è fatta per una vita che non tramonta.

Il Gesù risorto è il Gesù crocifisso

Le parole dell’angelo («Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui») meritano la nostra attenzione anche per un altro motivo: esse ci invitano a mantenere ferma l’identità tra Gesù che muore in croce e Gesù che risorge. Le piaghe del Signore, che ora «non grondano più sangue, ma irradiano luce» (A. Louf), rivelano il volto di Dio che Gesù ci ha manifestato sulla croce e che ci ha confermato con la sua Risurrezione. Un volto nel quale ogni credente è chiamato ad identificarsi perché riguarda lo specifico cristiano, ossia il modo di vivere la nostra fede cristiana nel mondo.

Il volto di Dio rivelatoci da Gesù sulla croce ci dice, infatti, che non basta credere nella vittoria di Gesù sulla morte, ma che il cammino che conduce alla risurrezione passa attraverso la croce, intesa come immolazione libera e volontaria, come “dono totale di sé”. Per noi cristiani, credere nella Risurrezione significa dunque aderire concretamente a un modo preciso di vivere, ossia a un modo di vivere oblativo. Val la pena, al riguardo, ricordare le parole che Gesù stesso aveva rivolto ai suoi discepoli: «Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 10,39). Chi trattiene la vita per sé in un ripiegamento egoistico, la perde e va incontro ad una seconda morte, quella spirituale. Chi non fa della propria vita un dono per gli altri, diventa facile preda di una vuota e triste auto-sufficienza, alimentata dalla paura che gli altri possano alterare le proprie pseudo-sicurezze. Insomma, chi rimane chiuso nel proprio piccolo guscio, senza fare della propria vita un dono per gli altri, rimane sterile, vive senza gioia e senza speranza.  

La fedeltà incrollabile di Gesù

Infine, un breve sguardo alle parole dell’angelo alle donne: «Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”», parole che ci confortano circa la fedeltà di Gesù ai suoi discepoli. Nonostante questi ultimi l’avessero abbandonato nel momento supremo della prova, Gesù dimostra loro una fedeltà incrollabile. Per Lui, essi sono sempre i “suoi” discepoli. Così, la Risurrezione è anche il trionfo della fedeltà: come il Padre è rimasto fedele al Figlio Gesù nella morte di croce, così Gesù non abbandona i suoi discepoli nella dispersione che segue alla sua crocifissione.

Ora, sorelle e fratelli carissimi, tocca a noi, figli della Croce e della Risurrezione di Gesù, diventare, a nostra volta, testimoni credibili di questa fedeltà, facendoci prossimi ai nostri fratelli e sorelle, aiutandoli a smuovere i macigni mortiferi che pesano sulla loro vita, infondendo coraggio, fiducia e speranza ai loro passi. Solo così comprenderemo che la Pasqua è davvero la festa della vita, della vita eterna certo, ma i cui raggi benefici già intridono il nostro cammino di quaggiù rendendolo più bello, più felice e più vicino al cuore di Dio. E così sia.

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