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Professione Solenne di D. Paolo Maria Arcangeletti OSB

Un’altra Professione, questa volta Solenne, arricchisce la Comunità monastica di San Paolo fuori le Mura. Dopo la Professione temporanea di dom Roberto Richichi il 24 giugno dello scorso anno, domenica 11 febbraio 2024 è stata la volta di d.Paolo Maria Arcangeletti OSB.

Nell’omelia dell’Abate Donato, che ha presieduto la Celebrazione eucaristica nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, molti riferimenti alla Regola di San Benedetto, ai suoi insegnamenti e al cammino monastico che D.Paolo Maria ha scelto di intraprendere e confermare con la Professione Solenne di domenica scorsa, alla presenza anche dell’abate Primate della Confederazione benedettina, Gregory Polan OSB.

Il testo integrale dell’omelia dell’Abate Donato e alcune foto della Celebrazione.

VI Domenica del TO – B 

Mc 1,40-45

40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Sorelle e fratelli carissimi, tra poco il nostro fratello D. Paolo Maria emetterà la Professione monastica di stabilità, conversione dei costumi e obbedienza, l’equivalente dei voti di povertà, castità e obbedienza. Con tale professione D. Paolo Maria si incardinerà definitivamente nella nostra Comunità benedettina di San Paolo fuori le Mura, il cui cammino ha avuto modo di conoscere e di condividere da alcuni anni.

Inserito nella celebrazione eucaristica che stiamo celebrando, il dono totale di sé al Signore che questo nostro fratello sta per fare è un evento che non tocca solamente lui e la nostra comunità paolina, ma tutta la Chiesa, Corpo di Cristo, nella quale anche la speciale sequela di Gesù – che oggi D. Paolo Maria farà sua per sempre – trova la sua collocazione e la sua garanzia di verità. Per questa ragione vogliamo attingere qualche spunto di riflessione dalla mensa della Parola che oggi la Chiesa ha imbandito per noi. È questa particolare Parola, infatti, che è chiamata a risuonare in maniera speciale nel cuore, nella mente e nella vita del nostro fratello D. Paolo Maria e di tutti noi.

1. Fin dall’inizio del brano evangelico proclamato risalta a chiare lettere la fiducia che sospinge il lebbroso ad andare da Gesù. È una fiducia che sa già di fede, una fede umile ma nello stesso tempo palpitante, discreta ma al contempo decisa. Anziché gridare perché fosse assicurata la debita distanza a chi si trovava nei paraggi, il lebbroso – noncurante delle prescrizioni delle legge – si avvicina a Gesù e, supplicandolo in ginocchio, gli esprime il suo desiderio di essere guarito. Lo fa appendendo il suo futuro a una congiunzione, a quel piccolo “se” con cui introduce la sua richiesta: «Se vuoi, puoi purificarmi!».

La guarigione miracolosa del lebbroso – preceduta dalla sua fede fiduciosa – ci conferma, innanzitutto, che la salvezza è opera esclusiva di Dio; è dono suo e non opera dell’uomo. In secondo luogo ci fa comprendere che il miracolo, benché compiuto per il lebbroso, non è a suo esclusivo beneficio. L’avvenuta guarigione diventa un segno e una testimonianza, non solo per l’istituzione sacerdotale: «…va’ (…) a mostrarti al sacerdote – gli dice Gesù – e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro», ma anche per tutti. Infatti, contrariamente all’ordine di Gesù di non dire niente a nessuno, il lebbroso proclama e divulga la sua guarigione miracolosa.

Il miracolo non chiude Gesù e il lebbroso in un rapporto esclusivo, ma va oltre, lo travalica, perché suo scopo ultimo è quello di scuotere le coscienze, di suscitare interrogativi, di rimuovere pregiudizi e spalancare nuove prospettive, almeno là dove vi è una coscienza retta pronta a lasciarsi interpellare senza opporre preclusioni di sorta!

Caro D. Paolo Maria, anche la tua vocazione monastica – che è un itinerario di purificazione e di salvezza – è opera di Dio. È Lui che ti ha chiamato e ha suscitato in te il desiderio di cercarlo e di affidargli la tua vita. È Lui che ti ha dato, e continua a darti, la forza di rinnovare il tuo sì scommettendo ogni giorno sul Vangelo del suo Figlio incarnato, Cristo Gesù! Quando san Benedetto afferma che il monaco «non deve anteporre nulla all’amore del Cristo» (RB 4,21), allude a questa verità, alla certezza, cioè, che la nostra sequela di Lui è radicata nella fede nel suo amore misericordioso che ci precede e sempre ci accompagna.

Noi non siamo che dei mendicanti di misericordia, sempre alla ricerca di Dio anche quando lottiamo con le lusinghe del male e del peccato che, come lebbra, cercano di corrompere e divorare il nostro cuore. E proprio perché il Signore ci ama, e ci ama di un amore fedele e misericordioso, anche noi – pur consci della nostra piccolezza e delle nostre fragilità – possiamo andargli dietro e riamarlo il più fedelmente possibile. È dunque rintracciando il suo sguardo amoroso nei solchi della nostra quotidianità – scandita dal trinomio benedettino ora, labora et lege – e dimorando in esso che ci sarà possibile rispondere alle sollecitazioni del suo Vangelo con il nostro quotidiano “sì”!

Inoltre, caro D. Paolo Maria, non devi dimenticare che la chiamata a seguire Gesù nella vita monastica è sì un dono fatto a te, ma non unicamente per te, ma perché tu lo condivida con tutti, a partire dai fratelli della tua comunità, contribuendo a far sì che le dinamiche relazionali che si intrecciano al suo interno siano illuminate dall’amore reciproco insegnatoci da Gesù e da esso corroborate. È su questo amore che si fonda il nostro stare insieme ed è ad esso che deve tendere costantemente. La comunità – come ci ricorda l’etimologia di questo termine, composto da cum e munus – è lo spazio di vita nel quale siamo chiamati a farci munus, cioè dono, gli uni per gli altri, sull’esempio di Gesù.

Tale impegno, tuttavia, non si esaurisce entro il perimetro del cerchio fraterno, ma è chiamato, per così dire, a tracimare, ridondando a beneficio dei fratelli e delle sorelle che entrano in contatto con noi e che spesso sono preda di una cultura fluida, iper-individualistica ed esclusivistica che rende sempre più difficile operare il giusto passaggio dall’ “io” al “noi”. Di fronte a queste e ad altre sfide, che procurano smarrimento e gettano molti nello sconforto, rinchiudendoli entro piccoli orizzonti immanenti, succubi delle passioni tristi e incapaci di coltivare la speranza, la ricerca di una comunione fraterna fondata sull’amore del Signore diventa una testimonianza viva del fatto che un amore gratuito e non ripiegato sulla ricerca del proprio tornaconto o del plauso altrui non è un’utopia, e che è possibile sperimentare, oltre alla fatica, anche la gioia che scaturisce dal portare quotidianamente i pesi gli uni degli altri.

Infine, tornando alla pagina evangelica proclamata, non può sfuggirci la modalità con cui il lebbroso è stato guarito, ossia attraverso la prossimità e il contatto. Gesù si lascia avvicinare. Non evita l’incontro con lui. Ora, quale fosse il rapporto – o meglio sarebbe dire il non-rapporto – che un lebbroso era obbligato a intrattenere con gli altri, è stato descritto nella prima lettura, tratta dal Libro del Levitico. Poiché la lebbra era ritenuta una punizione dovuta ai propri peccati, il lebbroso era considerato un impuro, e perciò doveva vivere lontano dal consorzio umano, come un emarginato e un intoccabile.

È proprio a questo livello che si situa la portata simbolica e insieme rivoluzionaria del gesto di Gesù. Egli tende la mano a un uomo impuro. Tocca un intoccabile! «La mano parla prima della voce, le dita sono più eloquenti delle parole» (E. Ronchi). A Gesù basta un semplice tocco per superare la barriera legalistica eretta dalla legge mosaica. Per Lui non esistono esseri umani puri e impuri, toccabili e intoccabili, da accogliere e da evitare! Ai suoi occhi ogni essere umano è qualcuno/a da amare e da salvare!

Nel dire: «Lo voglio, sii purificato!», Gesù rivela il vero cuore di Dio, un cuore che palpita per la vita e per il suo accrescimento e non per il suo svilimento. Egli non ha altro desiderio che quello di purificare e guarire affinché la vita possa essere vissuta il più possibile nella sua autenticità e interezza.

Al riguardo, val la pena notare che l’espressione “ebbe compassione” traduce – qui, come altrove nei vangeli – il verbo greco splanknizomai, un verbo che non descrive semplicemente l’essere mossi a compassione, ma anche l’essere profondamente turbati, scossi, come quando si avverte un crampo allo stomaco di fronte a un’ingiustizia o – come in questo caso – a una malattia che provoca emarginazione e disprezzo e che contraddice la volontà di bene, la volontà salvifica di Dio.

Il monaco – carissimo D. Paolo Maria – in quanto mendicante dell’Assoluto, riconosce di avere continuamente bisogno di essere purificato dall’incontro con il Signore che ci guarisce dalle nostre miserie e dalle insidie del male e del peccato. Il monaco sa che anche queste ultime – se esposte al tocco risanante del Signore – possono essere trasformate in fessure dalle quali la luce della grazia può irrompere ancor più copiosamente a sostegno della nostra sequela di Lui.

Dall’altra non va dimenticato che anche noi siamo chiamati, come Gesù, a toccare con amore e a farci carico del fardello di sofferenza – fisica, morale o spirituale –  che molti vengono a deporre qui, in abbazia o in basilica, e lo possiamo fare con la parola, con la preghiera e, talora, con la semplice presenza, quella presenza che – in determinate occasioni – non ha bisogno di dare spiegazioni perché, colma di empatia, è sufficiente essa sola.

Tra poco, caro D. Paolo Maria, canterai il Suscipe. «Accoglimi, o Signore, secondo la tua parola e avrò la vita; non deludermi nella mia speranza». Affidati con gioia alla Parola che salva e non delude. Lascia che essa ti inabiti, permettile di dilatare il tuo cuore nell’amore e di guidare e illuminare i tuoi passi.

Il Dio Uno e Trino, la B. V. Maria e i Santi che tra poco invocheremo, in particolare san Paolo, i santi Benedetto e Scolastica, e coloro che hanno lasciato una traccia di santità nella nostra comunità paolina – come il beato Placido Riccardi e il beato Alfredo Ildefonso Schuster – ti assistano, ora e sempre, nel tuo cammino monastico. Amen

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