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Messa esequiale per P.D.Bertrand Mack O.S.B.

Sabato mattina, 17 febbraio 2024, è tornato alla Casa del Padre Dom Bertrand James Fredrick Mack e questo pomeriggio lunedì 19,alle ore 15.00, sono stati celebrati i funerali.

Nell’omelia dell’Abate Donato, che ha presideuto la Celebrazione, un caro ricordo di Dom Bertrand.

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MESSA ESEQUIALE
P. D. BERTRAND MACK O.S.B.
Basilica di San Paolo flM – Roma, 19 febbraio 2024

Sorelle e fratelli carissimi,

nel giro di nove mesi il Signore ha bussato per la quarta volta alla porta della nostra comunità monastica. Dopo aver chiamato a sé D. Giovanni Battista e i due confratelli di stanza a Perugia, D. Paolo e l’Abate emerito Giustino, è stata ora la volta del nostro fratello D. Bertrand. Se n’è andato dopo aver convissuto per quasi due anni con un tumore che gli ha divorato il corpo, ma non gli ha prostrato lo spirito. Lo testimonia la serenità con cui ha affrontato la malattia e con cui ha continuato a partecipare alla vita comunitaria, fino a una settimana prima della sua morte.

Per quanto potrà apparire strano, vorrei accostare il ritorno alla Casa del Padre di D. Bertrand a due eventi che nei giorni passati hanno allietato la nostra comunità monastica: l’inizio del Noviziato di Fr Lorenzo, il 9 febbraio, e la Professione solenne, l’11 febbraio, con cui D. Paolo Maria si è definitivamente incardinato nella Comunità monastica di San Paolo. In entrambi i casi, sia Fr. Lorenzo che Don Paolo Maria si sono lasciati alle spalle una tappa del proprio cammino e ne hanno inaugurata una nuova, pur se nello stesso solco di quella precedente, ossia sull’onda dell’impegno a vivere un’autentica e gioiosa donazione di sé al Signore e ai fratelli.

Analogamente, anche D. Bertrand ha terminato un tratto della sua esistenza terrena, l’ultimo. Esso ha coinciso con i quasi vent’anni trascorsi qui, a San Paolo fuori le Mura, dove era giunto il 3 gennaio 2005, inviato dal Priore del suo monastero silvestrino di Ampitiya, in Sri Lanka, in concomitanza con il cosiddetto “Progetto San Paolo”, un’iniziativa il cui scopo era quello di raccogliere monaci da diverse parti del mondo che fossero disponibili a venire a San Paolo per ridare slancio alla comunità locale che andava ridimensionandosi sempre più. D. Bertrand maturò poi la decisione di rimanervi, trasferendovi la sua stabilità nel 2018.

Quest’ultima tappa dell’esistenza terrena e monastica, conclusasi con la sua morte, ha spalancato anche a D. Bertrand un nuovo – e questa volta definitivo – inizio, un inizio che non conoscerà un termine e che, alla luce della fede cristiana, chiamiamo vita eterna, ossia la vita senza fine in Dio. E amo pensare che mentre D. Bertrand stava lasciando questo mondo per entrare in quello di Dio, nel suo cuore sia spontaneamente rifiorito quel versetto salmico con cui aveva consegnato al Signore la propria vita al momento della Professione monastica: «Suscipe me, Domine, secundum eloquium tuum et vivam, et ne confundas me ab expectatione mea… Accoglimi, Signore, secondo la tua parola e avrò la vita, non deludermi nella mia speranza». Il contenuto del Suscipe, cantato da D. Paolo Maria e da noi ripetuto solo otto giorni fa, per D. Bertrand si è ora realizzato pienamente: egli riposa nelle braccia del Padre che lo ha accolto per sempre nella comunione con Sé; la sua speranza non è stata delusa: adesso egli contempla quel volto che ha cercato di rintracciare nelle pieghe della storia per tutta la vita.

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Va ricordato che la speranza della quale un monaco si nutre quotidianamente (e di cui dovrebbe nutrirsi ogni cristiano) è una speranza che poggia sulla certezza che Dio, nel Figlio suo Gesù, si è fatto nostro compagno di viaggio nel cammino di questa vita perché noi imparassimo a considerare nella loro giusta valenza le piccole, quotidiane speranze che arricchiscono la nostra quotidianità, valutandole alla luce di quella Speranza ultima che sorregge la nostra fede, quella, cioè, di poter giungere, un giorno, nella Patria celeste, dove godremo per sempre della comunione amorosa col Dio-Trinità. Questo è ciò a cui allude il banchetto evocato nella prima lettura, tratta dal profeta Isaia (cf. Is 25,6a.7-9). Esso è simbolo della comunione eterna con Dio, una comunione che comporta non solo la liberazione dell’umanità dalle miserie del peccato, ma anche l’eliminazione della stessa morte: «Eliminerà la morte per sempre», dice il profeta.

Alla luce di questa verità di fede, il banchetto eucaristico al quale stiamo partecipando ci permette di pregustare questa comunione eterna con Dio e, nello stesso tempo, di sperimentare la comunione – non fisica, ma non per questo meno viva e vera – con chi ci ha preceduto nell’aldilà, come D. Bertrand, e che già partecipa della comunione divina.

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Desidero ora prendere spunto dalla pagina evangelica proclamata (cf. Mt 11,25-30), nella quale Gesù si autodefinisce con un tratto che ha particolarmente caratterizzato la vita di D. Bertrand, e che tutti abbiamo avuto modo di cogliere e apprezzare: la mitezza. Prendo in prestito le parole con cui, nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, papa Francesco commenta questa beatitudine:

«In questo mondo (…), dove si litiga ovunque, dove da tutte le parti c’è odio, dove continuamente classifichiamo gli altri per le loro idee, le loro abitudini, e perfino per il loro modo di parlare e di vestire (…) Gesù propone un altro stile: la mitezza. (…) Se viviamo agitati, arroganti di fronte agli altri, finiamo stanchi e spossati. Ma quando vediamo i loro limiti e i loro difetti con tenerezza e mitezza, senza sentirci superiori, possiamo dar loro una mano ed evitiamo di sprecare energie in lamenti inutili. Per santa Teresa di Lisieux «la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti altrui, non stupirsi assolutamente delle loro debolezze» (n. 71).

Ho voluto condividere queste parole di papa Francesco perché mi pare che esse descrivano bene la delicatezza di cui era permeato l’animo di D. Bertrand, il suo modo di porsi e di relazionarsi con gli altri, sia dentro la comunità monastica che fuori di essa. Anche quando in alcune circostanze mostrava una certa determinazione, lo faceva uno stile mite e gentile, stile che, indubbiamente, avrà incoraggiato quanti lo accostavano nel ministero della confessione o della direzione spirituale. Non sembri strano, inoltre, se affermo che questa mitezza e questa gentilezza facevano capolino anche attraverso un hobby che egli coltivava: la pittura. D. Bertrand amava dipingere, e lo faceva copiando prevalentemente paesaggi naturalistici di artisti famosi, che riproduceva ricorrendo a un cromatismo delicato, a una stesura armonica e mai impetuosa dei colori. Anche in questo ambito traspariva in maniera tangibile un cuore tendenzialmente mite, gentile, buono.

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È giusto, per nostra edificazione, ricordare anche il suo attaccamento alla comunità paolina che lo ha adottato e il suo affettuoso ricordo della Congregazione Benedettina Silvestrina, che lo aveva forgiato alla vita monastica, e nella quale aveva speso molti anni mettendo le sue qualità al servizio dell’attività pastorale, nella qualità di parroco, e a favore della formazione dei giovani che desideravano seguire il Signore alla scuola di san Benedetto. Anche qui, ci rimarrà soprattutto caro il ricordo della sua benevola comprensione nei confronti delle difficoltà o dei difetti altrui. Anche nei Capitoli conventuali, quando si doveva trattare di alcune situazioni personali, i suoi interventi erano sempre improntati a benevolenza e avevano l’accento sui lati positivi, segno che voleva bene alla sua comunità e che lo dimostrava dando fiducia e incoraggiando chi magari faceva più fatica.

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Sincera, infine, era la sua vita spirituale e devozionale. Praticamente fino all’ultimo, anche quando le difficoltà nella deambulazione cominciavano a farsi sentire, faceva di tutto per partecipare ai momenti di preghiera della comunità monastica. Spesso, fin che ha potuto, lo si vedeva anche sostare davanti al tabernacolo o passeggiare con la corona del rosario in mano. Un paio di giorni prima di morire, avendo saputo che la comunità aveva ricevuto l’assoluzione generale – come previsto dalle nostre consuetudini monastiche – volle che la concedessi anche a lui, nonostante avesse ricevuto l’Unzione degli infermi tre o quattro giorni prima. Si tratta, tutto sommato, di gesti semplici e all’apparenza di poco conto, ma che denotano, in realtà, un animo sensibile e desideroso di affidarsi al Signore.

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Sorelle e fratelli carissimi, in questo “rendimento di grazie” che è l’eucaristia, nel dare l’estremo saluto al nostro fratello D. Bertrand, vogliamo esprimergli la nostra gratitudine per l’esempio che ci ha lasciato e per il bene compiuto. Lo affidiamo alla B. V. Maria e alla schiera dei Santi – in particolare a san Paolo e a san Benedetto – affinché lo accompagnino in Paradiso. E a lui chiediamo che anche da lassù continui a pregare per noi, per questa sua comunità e per tutti coloro che egli ha conosciuto, che gli hanno voluto bene e che hanno da lui ricevuto tanto bene.

E così sia.

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