Messa Esequiale per P.D.Giovanni Battista Senes O.S.B.
Si sono svolti questo pomeriggio nella Basilica di San Paolo i funerali di P.D.Giovanni Battista Senes monaco sacerdote della Abbazia di San Paolo fuori le mura.
Numerosa la presenza di quanti lo avevano conosciuto e di tante persone vicine alla Comunità monastica, che hanno voluto far sentire la loro presenza e e il loro affetto. Nelle parole dell’Abate Donato un ritratto di D.Giovanni Battista.
MESSA ESEQUIALE
P. D. GIOVANNI BATTISTA SENES O.S.B.
Basilica di San Paolo flm – Roma, 29 settembre 2023
Prima lettura: Dn 12,1-3
Il destino finale dei giusti, di coloro, cioè, che sono vissuti saggiamente e sono rimasti fedeli a Dio, è descritto dal profeta Daniele in modo luminoso: «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre».
Sono parole alle quali il monaco non può rimanere insensibile. San Benedetto, infatti, ha descritto la vita monastica come una “vita di luce” (RB, Prol. 43), poiché come considera il monaco come un inseguitore e nello stesso tempo un mendicante della luce e della verità che promanano dalla Parola di Dio, dall’intimo incontro con Lui e dalle tracce della sua presenza disseminate nei solchi della nostra quotidianità.
La costante tensione a Dio e la ricerca incessante della luce del suo volto sono, dunque, la motivazione portante della vita monastica, così bene espressa anche dalle parole del Salmo responsoriale (Sal 41/42): «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora».
D. Giovanni Battista ha ora raggiunto la santa montagna, la dimora del Dio altissimo. È al suo cospetto, e contempla dal vivo quell’amore infinito che lo ha sostenuto e guidato nei suoi ottantacinque anni di vita, quell’amore che – ormai vicino ai cinquant’anni – lo ha afferrato e investito ancor più profondamente attirandolo alla vita monastica. Da quel momento, soprattutto, la sua missione è stata quella di diventare una piccola luce che aiutasse tanti fratelli e sorelle ad aprirsi all’amore di Dio che salva.
Per questo lo immaginiamo ora splendente nel firmamento del cielo, vivo nella beatitudine della luce di Dio e della sua pace eterna. E questo contribuisce a rendere serena la nostra mestizia.
Seconda lettura: 2Tm 2,8-15
Dalla seconda lettura, tratta dalla Seconda Lettera di san Paolo apostolo a Timoteo, estraiamo altre parole di fede, quelle che l’apostolo indirizza al suo collaboratore: «Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo».
Vivere con il Signore e regnare con Lui è dunque la ricompensa di chi ha perseverato nella fede, soprattutto nel bel mezzo delle avversità, delle tentazioni e delle prove. Nel suo significato etimologico, perseverare significa mantenersi fermi e costanti in un atteggiamento o comportamento. Nel caso specifico del cristiano, consiste nello strutturare con fermezza e costanza la propria esistenza attorno al Cristo, riconosciuto come il proprio Maestro, Amico e Signore.
Il N. S. P. Benedetto identifica la perseveranza con la stabilità che – come è noto – è uno dei pilastri della vita monastica. Una stabilità, però, interiore più che esteriore, poiché la nostra professione monastica rimarrebbe sterile se non fosse finalizzata all’acquisizione della stabilità del cuore, un cuore capace di incanalare le proprie energie nell’offerta amorosa di sé a Dio e ai fratelli.
D. Giovanni Battista aveva raggiunto una sua stabilità interiore, frutto senza dubbio dell’età avanzata, dove la saggezza e l’equilibrio la fanno generalmente da padroni, ma anche e soprattutto frutto di una fede rinvigorita dall’amicizia quotidiana con il Signore e dal dono di sé, concretizzato soprattutto nell’aiuto offerto alle tante persone che ha avuto modo di incontrare e accompagnare spiritualmente in trent’anni di ministero sacerdotale.
Questa stabilità interiore, semplice e pragmatica, traspariva anche dai suoi silenzi, dai suoi sguardi, dai suoi sorrisi, dai suoi gesti, e dal suo modo di reagire di fronte alle contraddizioni della vita, alla sofferenza e alle infermità con le quali, pure, in questi ultimi anni, ha convissuto senza perdere l’amore per la vita. Ora amiamo credere che D. Giovanni Battista sia entrato in una stabilità che profuma di eternità.
Vangelo: Mt 5,1-12a
Infine, un pensiero sul brano evangelico che, attraverso la proclamazione delle Beatitudini, ci ha presentato la carta d’identità del cristiano. Vorrei soffermarmi su una sola beatitudine, quella che riguarda i misericordiosi: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».
D. Giovanni Battista ha distribuito misericordia a piene mani, soprattutto attraverso il sacramento della riconciliazione, di cui è stato ministro fedele e indefesso. Va ricordato, tuttavia, che si è veramente misericordiosi con gli altri quando si è sperimentato – e si continua a sperimentare – su sé stessi la misericordia di Dio; quando, cioè, si vive nella continua consapevolezza di essere destinatari dell’amore misericordioso di Dio, di sapersi continuamente raggiunti dal suo sguardo compassionevole e perdonati. Solo allora è possibile essere strumenti autentici di misericordia anche per gli altri. Solo allora, cioè, la misericordia diventa un dare, ossia un servizio che si esprime nella comprensione e nel perdono.
«Dare e perdonare – dice papa Francesco – è tentare di riprodurre nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante. Per questo motivo nel vangelo di Luca non troviamo “siate perfetti” (Mt 5,48), ma “siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati; date e vi sarà dato” (6,36-38). E dopo Luca aggiunge qualcosa che non dovremmo trascurare: “Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (6,38). La misura che usiamo per comprendere e perdonare verrà applicata a noi per perdonarci. La misura che applichiamo per dare, sarà applicata a noi nel cielo per ricompensarci» (GE, 81).
Benché queste parole si applichino a tutti i credenti in Cristo, esse sono un’indicazione particolarmente luminosa per noi sacerdoti, a cui è stato dato l’ineffabile potere di concedere il perdono sacramentale dei peccati. Questo potere – che scaturisce dalla potenza dell’amore divino – è senz’altro uno degli aspetti più belli del ministero sacerdotale, quello in cui si è chiamati ad essere docili strumenti nelle mani di Dio, umili trasmettitori del suo perdono, del suo amore infinito. D. Giovanni Battista ha assolto egregiamente a questo servizio, e sono certo che la bontà misericordiosa di Dio che, attraverso di lui, ha raggiunto e sollevato il cuore di molti, non mancherà ora di accogliere la sua anima tra le sue braccia.
Alla bontà divina affidiamo dunque questo nostro fratello, perché lo purifichi dei suoi peccati e ne magnifichi il bene compiuto. Lo accompagni anche la nostra preghiera di suffragio, che eleviamo al Signore della vita per l’intercessione di Maria Santissima, dei santi Arcangeli, di san Giovanni Battista, di san Paolo apostolo, dei santi Benedetto e Scolastica e di tutti i Santi del cielo, certi che anche lui, D. Giovanni Battista, non mancherà di pregare per ciascuno di noi, in particolare per questa sua comunità monastica, per quanti gli erano cari e per tutte le persone che hanno beneficiato della sua testimonianza monastica e del suo ministero sacerdotale.
E così sia.