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Abate Farnedi con_Papa Francesco Piazza San Pietro settembre 16

Esequie Ab. Em. D. Giustino Farnedi OSB

Omelia del rev.mo Donato Ogliari Abate di San Paolo fuori le Mura

Prima Lettura (Gb 19,1.23-27a)

1Giobbe prese a dire: 23Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, 24fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre s’incidessero sulla roccia! 25Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! 26Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. 27Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro.

 

La Prima Lettura ci ha messi di fronte a parole di grande suggestività e fascino. Nel suo lungo e talora drammatico contendere con Dio, Giobbe è, ad un certo punto, folgorato da un’intuizione che spalanca il suo cuore alla speranza, intuizione che egli esprime con parole altamente poetiche e intrise di viva contemplazione e profonda fede. Così, infatti, la tradizione cristiana le ha sempre interpretate, leggendovi un’esplicita dichiarazione della fede nella risurrezione: «25Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! 26Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. 27Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».

Il Redentore è Dio stesso. A differenza dei suoi amici, che si erano limitati ad accusarlo di orgoglio, Giobbe avverte chiaramente dentro di sé che la parola di Dio nei suoi confronti sarà una parola liberatrice, e che Lui, il Signore, si ergerà per ultimo per difenderlo e giustificarlo.

Questo brano del Libro di Giobbe è molto incoraggiante per noi che crediamo nella risurrezione dei morti, e in particolare per noi monaci, mendicanti dell’Assoluto. Pur riconoscendoci deboli e fragili come tutti, abbiamo scelto di ancorare la nostra esistenza alla ricerca costante del volto del Signore, consci, però, che il punto di approdo di tale ricerca sarà solamente intravisto, dal momento che rimarrà nascosto ai nostri occhi fino al giorno in cui il Signore ci chiamerà a Sé. Ora D. Giustino ha varcato anche quest’ultima soglia. È entrato nella Casa del Padre. Il diaframma che lo separava dalla visione di Dio è stato lacerato, e la ricerca del Suo volto compensata. Ora D. Giustino vede Dio così come Egli è (cf. 1Gv 3,1-2); ora può contemplarlo con i suoi propri occhi e – come crediamo che sia – avvolto nella pace eterna e nella luce indefettibile dell’amore divino.

 

Vangelo (Gv 6,37-40)

«37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

 

Anche la pagina evangelica proclamata – tratta dal Cap. 6 di Giovanni, il cosiddetto “discorso eucaristico” di Gesù a Cafarnao – ci ha confermato che è proprio della volontà di Dio che gli uomini possano condividere la sua vita divina. E chi crede nel suo Figlio Gesù può già sperimentarla fin d’ora, anche se lo potrà fare pienamente solo con la risurrezione finale.

Quel che è consolante, dunque, è che chi aderisce a Gesù nella fede ed entra in un rapporto di comunione personale con Lui, spalanca già fin d’ora la propria esistenza sull’eternità di Dio, escludendo per ciò stesso la distruzione della vita o il suo sprofondamento nel nulla: «39questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno».

Come è noto, la relazione esistente tra fede, vita e risurrezione è applicata dall’evangelista Giovanni anche all’eucaristia, per cui anche per quest’ultima si ripropone la stessa sequenza: eucaristia – vita – risurrezione. Fede ed eucaristia: i due pilastri su cui poggia la vita cristiana. L’adesione alla fede entusiastica e quasi fanciullesca e la frequentazione quotidiana dell’eucaristia hanno certamente consentito a D. Giustino di inserirsi sempre più profondamente nell’esistenza di Dio, l’unica appunto che ci puà strappare dalla morte e dal nulla.

Ma – ci chiediamo – come ha vissuto D. Giustino la sua ricerca di Dio e questa sequenza fede/eucaristia – vita – risurrezione? Non è mai facile individuare il nucleo – profondo, intimo e segreto – del rapporto di fede e di amore che una persona intrattiene con Dio. Possiamo solo tentare di scorgerne i riflessi nella vita concreta, rievocandone i tratti più salienti. Facciamolo brevissimamente anche per il percorso biografico di D. Giustino.

Nato a Cesena e figlio di quella terra romagnola di cui conservava la giovialità, la cordialità e la laboriosità – che ben si conciliavano con la sua esuberanza – D. Giustino sentì presto l’attrattiva della vita monastica, che abbracciò nell’Abbazia-Santuario di Santa Maria del Monte, sulla collina sovrastante la città che gli aveva dato i natali.

Dopo la professione monastica, gli studi teologici e l’ordinazione sacerdotale, D. Giustino presterà la sua opera per molti anni – quasi venti – presso l’Ateneo Pontificio di S. Anselmo, a Roma, luogo che ospita anche il Collegio Internazionale dell’Ordine Benedettino. Qui fu docente di Paleografia al Pontificio Istituto Liturgico di S. Anselmo e, soprattutto, Bibliotecario e Direttore delle Pubblicazioni dell’Ateneo anselmiano. In quello stesso periodo, per alcuni anni, diresse anche la Libreria Editrice Vaticana.

Eletto abate dell’Abbazia di S. Giacomo di Pontida, vi esercitò il servizio abbaziale e quello di parroco per tredici anni. Quindi, dopo un soggiorno presso l’Abbazia di San Paolo flm – dove aiutò a trasportare e a risistemare la Biblioteca monastica nei nuovi spazi interni del monastero – trasferì la sua stabilità qui a Perugia, nell’Abbazia di San Pietro.

In questi ultimi diciotto anni il suo compito principale è stato quello di Direttore dell’Archivio storico, ruolo nel quale ha avuto modo di dare ulteriore prova della sua passione per lo studio e la ricerca – soprattutto in ambito monastico umbro e italiano – passione avvalorata anche da pubblicazioni di notevole spessore, come quella sulle carte dell’Abbazia di San Pietro di Perugia. Per lunghi anni, poi, la sua presenza di ricercatore, oltre che di tesoriere, è stata molto apprezzata anche all’interno del Centro Storico Benedettino Italiano di cui era un membro vivace e competente. Ed è proprio alla riunione del Consiglio Direttivo del Centro, tenutasi a Roma la scorsa settimana scorsa presso l’Abbazia di San Paolo flm, che molti di noi hanno incontrato D. Giustino per l’ultima volta, senza che nulla lasciasse presagire che sarebbe stata davvero l’ultima!

Non va, infine, dimenticata la sua attività pastorale, soprattutto quella degli anni in cui è stato abate-parroco di Pontida e quella degli anni trascorsi a Perugia. Della sua sapienza, infatti, non ha usufruito solo il mondo monastico, come le Monache Benedettine di Rosano a cui era molto legato, ma anche la vita consacrata in generale. Nella Diocesi di Perugia, ad esempio, ha ricoperto per alcuni anni l’incarico di Vicario episcopale per la Vita consacrata, offrendo in questa veste un notevole contributo a livello di animazione e di formazione. Inoltre si è sempre reso disponibile per l’amministrazione del sacramento della Cresima o per altre celebrazioni. Mi risulta anche che sia stato un punto di riferimento spirituale per diversi sacerdoti.

Insomma, D. Giustino, ovunque fosse, ha sempre messo la sua persona e il suo operato al servizio della vita monastica e, là dove richiesto, della vita diocesana ed ecclesiale, per il bene dell’una e dell’altra, in una parola per la crescita del Regno di Dio sulla terra. E tutto questo egli ha fatto sostenuto da una fede viva e dal nutrimento eucaristico di cui si cibava quotidianamente.

Eccellenza carissima, confratelli monaci e confratelli nel sacerdozio, sorelle e fratelli carissimi, anche se il cuore è appesantito dalla tristezza per la perdita improvvisa di D. Giustino, desideriamo esprimere la nostra gratitudine al Signore per il bene da lui seminato. Siamo certi che, dinanzi al giudizio divino, il bene da lui compiuto peserà molto di più dei suoi limiti e dei suoi peccati. A questi ultimi, infatti, viene già in soccorso l’infinita misericordia del Padre!

E poiché il Signore ha chiamato a sé D. Giustino agli albori della festa della Nascita della B. V. Maria, lo affidiamo a Lei perché, assieme agli angeli, ai Ss. Benedetto e Scolastica e a tutti i santi, perché sia introdotto dinanzi al trono dell’Altissimo, là dove regnano sovrane la sua pace e la sua luce infinite. E da lassù – dalla Casa del Padre che un giorno sarà anche la nostra – preghi per la minuscola comunità di San Pietro e per tutti noi. Amen

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