Epifania 2025, l’omelia dell’Abate Donato
Mt 2,1-12
Il messaggio dell’Epifania – un termine greco che significa “manifestazione” – non si discosta da quello del Natale. Entrambi, infatti, riguardano l’incarnazione del Figlio di Dio, venuto ad abitare in mezzo a noi. Diversi sono invece, i protagonisti e il modo con cui alcuni aspetti, esteriori o interiori, sono messi in risalto dai rispettivi racconti.
Ad esempio: quando, nelle campagne di Betlemme, l’angelo annuncia la nascita di Gesù ai pastori, questi ultimi sono avvolti dalla luce della gloria del Signore. Anche nel racconto dei Magi la luce fa la sua apparizione nella stella che li guida verso il luogo dove è nato il «re dei Giudei». La luce è dunque presente in entrambi i racconti come simbolo del mistero con il quale sia i pastori sia i Magi stanno per entrare in contatto: i primi, i pastori, sono avvolti e si ritrovano dentro di essa, i secondi, i Magi, la fissano da lontano nella stella che fa loro da guida.
Ancora, i pastori – che nella società giudaica occupavano il gradino più basso nella posizione sociale e religiosa – sono scelti per essere i primi destinatari e testimoni della nascita del Figlio di Dio, il Salvatore. Anche i Magi, persone colte provenienti dall’Oriente, in quanto non appartenenti al popolo eletto di Israele rappresentano la primizia dei popoli pagani ai quali, pure è destinata la salvezza portata da Gesù. La loro ricerca e la loro adorazione del Bambino simboleggia, infatti, l’apertura universale della salvezza.
La paura, la gioia e la luce
Rinvenibili in entrambi i racconti, benché con sfumature diverse, vi è poi la co-presenza di sentimenti come la paura e la gioia.
I pastori, quando furono avvolti dalla luce della gloria del Signore, furono inizialmente presi da un grande timore, timore che, però, scemerà all’annuncio della «grande gioia» della nascita del «Salvatore, che è Cristo Signore». Nel racconto dei Magi, invece, sono Erode e tutta Gerusalemme a sperimentare la paura e il turbamento. Dei Magi, infatti, si dice solo che «provarono una gioia grandissima» al vedere la stella fermarsi sopra il luogo dove si trovava il Bambino.
Inoltre, i pastori e i Magi che si aprono alla notizia della nascita di Gesù e si incamminano verso il luogo della sua nascita, sono colmati di gioia. In tal modo essi diventano il simbolo di tutti coloro che si aprono con fiducia al Salvatore, che gli permettono di regnare al cuore della loro vita, e che, attratti dalla sua luce, non desiderano compromettersi con altri re, ossia con le prospettive mondane di potere e di predominio rappresentate da Erode.
Questa umile e fiduciosa apertura di cuore dei pastori e dei Magi è il presupposto che permette loro di sperimentare la gioia di Betlemme, la gioia vera, la gioia che viene dall’alto, quella che scaturisce dallo stesso Gesù, dal suo cuore ricolmo di amore per noi; una gioia che nessuno e niente può togliere a chi l’accoglie, perché non è un prodotto umano, ma divino. La vera gioia è, infatti, espressione della luce divina che, in Cristo Gesù, viene offerta a tutti. È in tal senso che l’Epifania è anche la festa della luce, quella luce di cui – come ci ha esortato il profeta Isaia nella prima lettura – siamo chiamati a rivestirci, ad avvolgerci. È la luce gioiosa del Cristo, che chiede, tuttavia, di essere accolta, poiché non è esclusa la possibilità di rifiutarla. È il mistero della libertà umana, una libertà che il Signore – benché cerchi sempre di attirarci a Sé con la forza umile e inerme dell’Amore – rispetta, anche quando questa libertà propende per le tenebre!
È ciò che è accaduto a Erode e a tutta Gerusalemme, dove si respira un’atmosfera negativa. Nessuna espressione di gioia o di festa. Al contrario, il re Erode e la città sono raggiunti da un’ondata di inquietudine, di turbamento, di paura. Questo ci dice che benché Gesù sia venuto come il Salvatore, come il segno concreto dell’amore di Dio per gli uomini, può anche essere avvertito – come è appunto successo per Erode e i suoi – come una minaccia.
Di fatto, fin dalla sua nascita Gesù diventa quello che il vecchio Simeone dirà di lui a sua madre Maria: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione» (Lc 2,34). Gesù sarà “segno di contraddizione” anche durante il suo ministero pubblico, quando da molti, soprattutto dal potere politico e religioso, sarà visto come un sovvertitore delle leggi, un fomentatore di disordini, un visionario che mette a repentaglio gli equilibri iniqui e ingiusti su cui si reggeva questo stesso potere. L’acme di tale percezione negativa nei confronti di Gesù – “segno di contraddizione” – sarà raggiunta con la sua condanna a morte.
Mettersi in cammino
Infine, dobbiamo rammentarci che la luce gioiosa del Salvatore non ci è offerta esclusivamente per noi. Al contrario, è una che ci esorta – come ci ha ricordato il profeta Isaia – ad alzarci e a metterci in cammino. Essa, cioè, ci sospinge a trasmetterla anche agli altri, a contagiarli, impegnandoci attivamente per sconfiggere le tenebre del male e rendere possibile l’esperienza della luce gioiosa dell’amore nell’ambiente in cui viviamo. Questo movimento centrifugo – l’uscire da noi stessi – è proprio ciò che caratterizza e accomuna il cammino dei pastori e quello dei Magi: raggiunti dalla luce gioiosa del Cristo, sia gli uni che gli altri sono sospinti ad uscire dal proprio mondo, dalle proprie abitudini, per mettersi in cammino verso la grotta di Betlemme e lì incontrare Gesù per poi testimoniarlo al mondo.
Anche l’Anno giubilare che abbiamo iniziato – proprio ieri è stata aperta la Porta santa della Basilica di San Paolo flM – rappresenta per noi un invito a metterci in cammino, al pari dei pastori e dei Magi, e a farlo come “pellegrini di speranza”. Sappiamo, tuttavia, che il pellegrinaggio esteriore sarebbe ben poca cosa se non sfociasse in un pellegrinaggio interiore che ci smuova e ci metta in cammino da dentro, modificando qualche abitudine inveterata, vincendo qualche pigrizia, superando qualche inerzia che ci impedisce di vivere e di testimoniare agli altri la bellezza della nostra fede.
Non esitiamo allora a (ri)metterci in cammino e, «senza indugio», seguiamo anche noi la stella che è Gesù, testimoniamo la gioia luminosa che proviene da Lui e dal suo Vangelo e incarniamo quest’ultimo nella nostra quotidianità, là dove – sorretti dalla fede e dalla speranza cristiane – siamo chiamati a seminare parole e gesti di carità che suscitino gioia vera e pace duratura in noi e attorno a noi. E così sia!