Commemorazione di tutti i fedeli defunti, l’omelia dell’Abate Donato
Commemorazione di tutti i fedeli defunti
2 Novembre 2024
«Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,39-40).
Le parole del brano evangelico proclamato sono colme di consolazione e di luce. Grazie al mistero pasquale di morte e risurrezione di Gesù – nel quale siamo stati battezzati e in virtù del quale siamo diventati figli adottivi di Dio Padre – abbiamo l’assicurazione che non andremo perduti. È volontà del Padre, infatti, che chiunque crede nel Figlio suo Gesù non vada perduto, ma consegua la vita eterna e sia risuscitato nell’ultimo giorno.
Questa certezza illumina di speranza nuova il nostro cammino di quaggiù e ci prepara ad affrontare la nostra morte e il nostro definitivo incontro con il Signore con cuore fiducioso e sereno. Alla luce delle parole di Gesù, infatti, la morte non è più semplicemente vista come la conclusione naturale della vita terrena, ma come l’ingresso in una realtà nuova che non avrà mai fine.
San Giovanni Paolo II aveva definito la morte come un «attimo che salpa verso l’infinito», e nella quale «si confondono l’attimo e l’eterno». La morte dunque come punto di sutura tra la nostra vita terrena, che sappiamo essere limitata e votata alla fine, e l’inizio della vita eterna in Dio, vita che non conosce tramonto.
Ciò è dovuto al fatto che Dio stesso – nel Figlio suo Gesù – è venuto ad abitare non solo la nostra vita, ma anche la nostra morte, affinché quest’ultima fosse sconfitta dalla risurrezione. Se infatti la morte rappresenta la fine della vita terrena, la Risurrezione di Cristo inaugura la fine della morte, le cui tenebre gli ha sconfitto per sempre con il bagliore indefettibile della Vita divina! L’ultima parola appartiene al Dio dei vivi e non dei morti!
È importante per noi, sorelle e fratelli carissimi, rifondare la nostra fede alla luce di questa prospettiva. Diversamente, non avrebbe alcun senso il nostro commemorare coloro che ci hanno preceduto nel sonno della pace e che sono entrati nell’eternità di Dio. Se con la loro morte non fossero salpati verso l’infinito di Dio, la nostra sarebbe semplicemente una commemorazione nostalgica della vita che essi hanno trascorso quaggiù e nulla più. Alla luce della nostra fede, invece, li sappiamo vivi in Dio e, mentre preghiamo perché possano godere della gloria senza fine, non solo nutriamo anche noi la speranza di ricongiungerci con loro, ma affidiamo anche noi stessi alla loro preghiera e alla loro intercessione. Sì, perché nel misterioso legame della “comunione dei santi” – che unisce noi che siamo ancora sulla terra a quanti hanno già raggiunto l’altra vita e viceversa – anche i defunti hanno voce attiva presso il trono del Signore. Anche loro possono pregare e intercedere per noi e per la nostra salvezza.
Inoltre, la consolante certezza della risurrezione dopo la morte ci deve spingere a far sì che la nostra esistenza terrena sia il più possibile conforme al Vangelo, impegnandoci a stare dalla parte della vita in tutte le sue manifestazioni e sfumature. Infatti, il sapore amaro della morte potrebbe insinuarsi nel nostro cuore e renderci corrieri di morte anziché testimoni della vita. A noi dunque evitare parole e atteggiamenti che finiscono con lo svuotare l’animo da ogni sentimento di compassione, di solidarietà, di bontà, di misericordia, tutte espressioni – queste – della vita divina di cui Gesù ci ha resi partecipi.
Vorrei, al riguardo, condividere con voi alcuni passaggi di una poesia dello scrittore e giornalista Jean D’Ormesson, il quale paragona la nostra vita di quaggiù a un viaggio in treno.
«Alla nascita – scrive –, saliamo sul treno
e incontriamo i nostri genitori.
Crediamo che viaggeranno sempre con noi.
Eppure, in una stazione, / i nostri genitori scenderanno dal treno,
lasciandoci soli a continuare il viaggio…
Col passare del tempo, / altre persone salgono sul treno.
E saranno importanti: / i nostri fratelli, amici, figli (…).
Molti si dimetteranno / (…) e lasceranno un vuoto più o meno grande.
Altri saranno così discreti / che non ci renderemo conto che hanno lasciato i loro posti.
Questo viaggio in treno sarà pieno di gioie, / di pene, di attese, di buongiorno, / di arrivederci e di addii.
Il successo è di avere / buone relazioni con tutti i passeggeri
purché diamo il meglio di noi stessi.
Non sappiamo a quale stazione scenderemo.
Quindi viviamo felici, amiamo e perdoniamo!
È importante farlo, / perché quando scendiamo dal treno,
dovremo lasciare soltanto dei bei ricordi
a coloro che continuano il loro viaggio…» (da Il treno della mia vita)
Fin che siamo su questa terra, sorelle e fratelli carissimi, dedichiamoci dunque ad intrecciare relazioni buone con tutti e a vivere felici, amando e perdonando.
Facciamo in modo di non spegnere mai quell’insaziabile desiderio di infinito che alberga nel nostro cuore e che trova il suo compimento in Dio.
Non esitiamo a far prevalere la forza luminosa dell’amore, nel quale risplende già un anticipo della vita eterna.
Intercedano per noi Tutti i Santi del cielo e Tutti i Fedeli Defunti. E così sia!