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Omelia del Giovedì Santo

Il mistero dell’Eucaristia che oggi contempliamo nella sua duplice sfaccettatura – quella della sua istituzione e quella dell’istituzione del ministero sacerdotale da parte di Gesù nell’Ultima Cena – può essere condensato in due parole intimamente intrecciate tra loro: dono e comunione.

Gesù ha fatto dono di sé, ha patito e si è immolato per noi sul Calvario, ha spezzato il suo corpo e versato il suo sangue per salvarci e introdurci nella vera comunione con Dio e con i fratelli.

La pagina evangelica proclamata ripropone in maniera eloquente questo duplice aspetto, poiché nel Vangelo di Giovanni, l’episodio della “lavanda dei piedi” veicola lo stesso sanicato veicolato dalle parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena e riportate dagli altri tre evangelisti: «Prendete e mangiatene tutti… questo è il mio corpo… Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue». Quelle parole, infatti, trovano nel Vangelo di Giovanni, l’episodio della “lavanda dei piedi” veicola lo stesso significato veicolato dalle parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena e riportate dagli altri tre evangelisti: «Prendete e mangiatene tutti… questo è il mio corpo… Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue». Quelle parole, infatti, trovano nel Vangelo di Giovanni una concreta traduzione nel gesto della lavanda dei piedi. Anche quest’ultima, come l’istituzione dell’eucaristia, è una prefigurazione del dono supremo di sé che Gesù, di lì a poco, compirà sulla croce.

La forza prorompente insita nel gesto della lavanda dei piedi non consiste tanto nell’umile abbassamento di Gesù, quanto nel fatto che questo suo abbassamento si pone come un gesto di accoglienza e di comunione. Con esso il Signore della gloria si china sulle nostre miserie, e ci lava dalle nostre sporcizie perché possiamo entrare in comunione con Lui e, tramite Lui, con Dio Padre e con i fratelli.

Ciò è suggerito anche dalle parole rivolte a Pietro. A lui, che si scherniva e non voleva lasciarsi lavare i piedi dal maestro, Gesù dice: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13,8). Per entrare in comunione con Gesù occorre lasciarsi “lavare i piedi”, bisogna, cioè, lasciarsi raggiungere dal suo amore al cuore della nostra umanità ferita, delle nostre fragilità e delle nostre debolezze.

Tuttavia, l’accondiscendenza misericordiosa con cui il Signore si abbassa e ci viene incontro con il suo amore, nonostante la nostra indegnità, può scontrarsi col rifiuto che possiamo liberamente opporgli. Un esempio di come la sua offerta di amore possa essere rifiutata o non compresa, è rintracciabile nella reazione di due apostoli: Giuda – a cui, pure, Gesù aveva lavato i piedi e a cui pure aveva offerto la sua comunione – e Pietro il quale, non comprendendo il gesto di Gesù, gli dice: «Non mi laverai mai i piedi!».

Entrambi, benché a livelli diversi, contrastano l’azione misericordiosa e salvifica del Signore: Giuda chiudendosi definitivamente alla sua offerta di grazia, Pietro mettendo a nudo la sua presunzione che gli impedisce di comprendere l’amore gratuito che Gesù gli offre.

Un’ultima annotazione: tra gli utensili usati da Gesù per la lavanda dei piedi, quello che, nel linguaggio simbolico così caro all’evangelista Giovanni, appare il più significativo è l’asciugamano, quell’asciugamano con cui Gesù si cinge i fianchi prima di chinarsi a lavare i piedi ai suoi discepoli, ossia alla Chiesa nascente. Quell’asciugamano è simbolo del servizio. Cingendoselo ai fianchi Gesù pone un esempio, in primo luogo per Pietro e per quanti, come lui, sono chiamati ad assumere ruoli di responsabilità nella Chiesa, e in secondo luogo per tutti i credenti in Cristo, il cui unico, vero privilegio è quello di servire.

L’immagine che ne emerge è quella di una «chiesa del grembiule», come affermava il Ven.le Don Tonino Bello, una Chiesa che serve l’uomo, a cui annuncia la salvezza di Gesù. È questo il modello di comunità che Gesù ci ha consegnato nell’Ultima Cena: una comunità nella quale ci si aiuta gli uni gli altri, in cui ci si serve vicendevolmente – ciascuno come può e come sa fare – nella logica gratuita dell’amore insegnatoci da Gesù, un amore che non separa ed emargina, ma che include e accoglie.

Sì, Gesù vuole che riscopriamo in modo sempre nuovo e vivo quella comunione che passa attraverso l’umile servizio reciproco: «Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,14-15).

Vorrei concludere con le parole di Madeleine Delbrêl (una mistica e poetessa vissuta nel secolo scorso, vicino agli ultimi e agli emarginati). Diceva:

“Se dovessi scegliere
una reliquia della tua Passione, prenderei proprio quel catino
colmo d’acqua sporca.
Girare il mondo con quel recipiente
e ad ogni piede
cingermi dell’asciugatoio
e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere
i nemici dagli amici,
e lavare i piedi del vagabondo,
dell’ateo, del drogato,
del carcerato, dell’omicida,
di chi non mi saluta più,
di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio
nché tutti abbiano compreso nel mio
il tuo amore”

E così sia.

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