L’Omelia dell’Abate Donato nella Messa del giorno di Natale 2025
MESSA DEL GIORNO
Gv 1,1-18
Il Natale è una festa di luce. Tutta la liturgia natalizia ce lo ricorda. Già nella Messa di questa notte, nella prima lettura, il profeta Isaia parlava di un popolo che camminava nelle tenebre e vide una grande luce (cf. Is 9,1). Anche nel racconto della nascita di Gesù a Betlemme, l’evangelista Luca dice che all’annuncio dell’angelo ai pastori questi ultimi furono avvolti dalla luce della gloria del Signore (cf. Lc 2,9).
Lo stesso brano evangelico appena proclamato – il famoso inno a Cristo, celebrato come il Verbo di Dio fatto carne – utilizza la simbologia della luce in riferimento a Gesù, Figlio di Dio: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,4-5). E ancora: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).
Questa, sorelle e fratelli carissimi, è la grande notizia del Natale. Cristo è venuto in mezzo a noi per portarci la luce di Dio, ossia per far risplendere in noi e in mezzo a noi la vita stessa di Dio. Accogliere Gesù significa allora lasciarsi avvolgere dalla luce di questa vita divina e di ciò che la definisce nella sua essenza: l’amore infinito con il quale Dio continua a venirci incontro per disperdere, con la sua presenza misericordiosa, le tenebre del male che assediano il nostro cuore.
Le tenebre che si oppongono alla vita luminosa di Dio che Gesù è venuto a condividere con noi, possono assumere diverse forme:
- vi sono le tenebre dell’autosufficienza e dell’indifferenza che portano a considerare ridondante la fede in Dio e a eliminare dall’orizzonte della propria vita l’esperienza viva di Lui e del suo amore, scommettendo tutto sulle realtà terrene, caduche e incapaci di riempire il nostro cuore;
- vi sono le tenebre dell’egoismo che spingono l’essere umano a pensare unicamente a sé stesso e a considerare gli altri come avversari da combattere, chiudendo, di fatto, il proprio cuore alla sollecitudine e alla compassione verso chi è nel bisogno;
- vi sono le tenebre della paura che tolgono la serenità interiore e ingenerano sfiducia e diffidenza: la paura dell’altro, la paura della diversità, la paura di vivere in una società che tende a consumare tutto, anche le relazioni e gli affetti, la paura di non trovare un senso duraturo alla propria vita, la paura di un futuro incerto;
- vi sono le tenebre dell’ingiustizia, del sopruso, dello sfruttamento, della violenza, della malvagità, delle guerre che ancora insanguinano il nostro pianeta e che sembrano prevalere sull’anelito alla convivenza pacifica e fraterna.
Su queste e altre tenebre che tendono a oscurare il cammino della nostra vita, Gesù fa risplendere la luce del suo Vangelo per indicarci il cammino da seguire. Proprio per questo, infatti, Egli si è fatto uno di noi, nostro compagno di viaggio, per non lasciarci soli e in preda allo smarrimento, per prendersi cura di noi e stare al nostro fianco come un fratello e amico.
Celebrare il Natale di Gesù significa riconoscere che Egli è la «luce vera che illumina ogni uomo» e che continua, anche oggi, ad attrarre nell’orbita della sua salvezza chiunque voglia lasciarsi da essa illuminare e trasformare. Certo, Gesù può anche essere rifiutato, e di fatto molti rifiutano la sua luce. Questo fa parte del dramma della nostra libertà. E tuttavia anche qualora si decidesse di rifiutare la sua luce, questa non potrà mai essere spenta perché – come ci ha ricordato il brano evangelico proclamato – le tenebre non possono vincerla. Essa continuerà a brillare e a rendersi disponibile per chiunque vorrà affidarsi a essa.
Lo ribadiamo, sorelle e fratelli carissimi: se oggi siamo qui a celebrare il Natale di Gesù è perché riconosciamo che non possiamo vivere senza di Lui; è perché sappiamo che Egli è la “luce vera”, quella che dà senso al nostro essere nel mondo, al nostro gioire, al nostro faticare e soffrire, in una parola al nostro vivere e al nostro morire.
Infine, nella nascita di Gesù, Figlio di Dio, che si è fatto carne assumendo la fragilità e i limiti della nostra condizione umana, ci è possibile riconoscere le coordinate lungo le quali edificare una vita che sia un riflesso – anche se pallido e imperfetto – della vita di Dio e della sua luce: non attraverso il prestigio, il potere e il successo – i criteri del mondo – ma attraverso la forza dell’umiltà, dalla quale scaturiscono i frutti della pace, della bontà e dell’amore.
Questo, in fondo, è il senso del Natale cristiano. Ci aiuti il divino Bambino a trasfonderlo nei gesti della nostra quotidianità. E così sia. Buon Natale!




