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Professione temporanea di Dom Roberto Richichi

Giorno di festa oggi 24 giugno, Solennità di San Giovanni Battista, per la Comunità monastica dell’Abbazia di San Paolo fuori le mura: Dom Roberto Richichi ha emesso la sua Professione temporanea.

Diventare monaco

Il cammino che porta ai voti temporanei – e successivamente solenni- parte dal postulandato, il periodo in cui colui che desidera entrare in monastero inizia a vivere come membro della Comunità seguendo le indicazioni del Padre dei Novizi.
Trascorsi alcuni mesi come Postulante, si entra a far parte del Noviziato continuando a ricevere indicazioni e seguire gli insegnamenti e la guida del Padre dei Novizi. Il periodo di noviziato può durare uno o due anni, trascorsi i quali il novizio può essere ammesso ai voti temporanei, come accaduto a dom Roberto.

La cerimonia di oggi

Una giornata importante dunque, che ha visto crescere in numero la Comunità monastica affidata da poco più di un anno all’Abate Donato. Una gioia anche per i familiari e per gli amici che sono giunti in Abbazia per condividere questo commovente momento con tutti i monaci, nella maestosa e allo stesso tempo accogliente Basilica di San Paolo fuori le mura.

A presiedere la Celebrazione eucaristica l’Abate di San Paolo fuori le Mura, Dom Donato Ogliari, che più volte nella sua omelia ha rivolto un pensiero al cammino del nuovo Professo che – come prevede la Cerimonia- ha letto al cospetto del Padre Abate la formula di professione per poi mostrarla a tutta la Comunità.

Un augurio dunque a Don Roberto per il suo cammino e alla Comunità monastica affinché possa crescere sempre più numerosa continuando a vivere e trasmettere gli insegnamenti di san Benedetto e della sua Regola.

L’ Omelia dell’Abate Donato

PROFESSIONE TEMPORANEA DI DOM ROBERTO RICHICHI
Solennità di San Giovanni Battista
Basilica di San Paolo flm – 24 giugno 2023

È molto bello e significativo che fratel Roberto emetta la sua Professione temporanea nel giorno in cui la Chiesa celebra solennemente la nascita di Giovanni il Battista, il precursore di Gesù, un uomo la cui esistenza è stata tutta dedicata alla causa di Dio e vissuta sotto il suo sguardo.

Come abbiamo ascoltato dalla pagina evangelica appena proclamata (cf. Lc 1,57-66.80), l’evangelista chiosa l’avvenimento della nascita di Giovanni il Battista con le seguenti parole: «E davvero la mano del Signore era con lui» (Lc 1,66), e più avanti: «Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80).
Plasmato dalla mano di Dio, Giovanni si era preparato alla sua missione forgiandosi attraverso una lunga esperienza di vita ascetica nel deserto, un luogo – quest’ultimo – che nella Bibbia è carico di simbolismo. Esso, per esempio, è considerato il luogo dell’incontro intimo con Dio, perché, come scrive Origene, è nel silenzio e nella solitudine del deserto che «l’aria è più pura, il cielo più limpido e Dio più familiare». È dunque lì, nel deserto, che Giovanni si è messo alla scuola del Signore, in ascolto della voce del suo Spirito.

La sua missione consisterà soprattutto nel suo ruolo di precursore di Gesù, il Messia, ruolo dal quale emerge con chiarezza la fedeltà del Battista. Certo, riconoscere il mistero del Regno di Dio che si realizzava in Cristo Gesù – da lui pubblicamente indicato come l’Agnello di Dio (cf. Gv 1,36)
– non è stato esente da perplessità. E che non fosse facile misurarsi con il mistero di Cristo e la sua prorompente novità ce lo fa intravedere il noto episodio in cui – già in carcere – Giovanni manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3).

Purtuttavia, egli rimane tutto teso alla realizzazione della sua missione di profeta della transizione dalla Prima alla Seconda Alleanza. In lui – che come dito puntato indica la presenza del Messia in mezzo agli uomini – tutto è perfetta fedeltà a questo compito, per il quale mostra di essere libero da sé stesso per essere docile strumento nelle mani di Dio e del suo disegno di salvezza.

Intuisci subito, caro Roberto, in che cosa la testimonianza di Giovanni il Battista possa essere di sprone al tuo cammino monastico che, essenzialmente, si configura come un rimanere fedele a Dio e al disegno di amore che Egli ha su di te e sulla comunità che ti ha accolto. Che l’esempio di

Giovanni il Battista sostenga, dunque, e illumini la tua sequela di Cristo Gesù, il tuo desiderio di andargli dietro con determinazione e generosità, desiderio che tra poco tradurrai pubblicamente, davanti alla Chiesa, nella professione monastica.

Ma, oltre a ciò, ci chiediamo: che cosa può suggerire ancora la figura di Giovanni il Battista al tuo e al nostro cammino monastico?

1. Innanzitutto, il Battista ci insegna che l’esperienza della fede deve prendere «la forma dell’incontro con una Persona alla quale si affida la propria vita» (Benedetto XVI, Verbum Domini n. 25). Questa persona è, ovviamente, Gesù, di cui la nostra fede si nutre e del cui incontro – veicolato dai sacramenti, dalla preghiera, dalla sua Parola – vive e cresce. Solo così, con la forza del cibo eucaristico, nella comunione della preghiera e sotto la guida sicura del Vangelo («per ducatum Evangelii»: RB, Prol. 21), i nostri pensieri, le nostre parole e i nostri gesti, caro Roberto, potranno essere sempre più modellati sui pensieri, sulle parole e sui gesti di Gesù.

2. In secondo luogo – tenendo sullo sfondo la cultura dominante e spesso superficiale, che vuol farci credere che sia possibile vivere una felicità senza ombre grazie al possesso e al godimento delle cose materiali, e che ci promette una vita da rivista patinata, senza rughe e senza scosse – il Battista ci ricorda che la nostra fede va vissuta nel crogiuolo della realtà, così come essa ci si presenta, anche nella sua crudezza. Noi tutti, del resto, sperimentiamo come la nostra esistenza – e di riflesso la nostra fede – abbia a che fare con un’alternanza di ricerca e di possesso, di cose che diamo per acquisite e scontate e nelle quali riposiamo tranquilli e di certezze che vengono, invece, messe alla prova; di realizzazioni gratificanti e di cammini accidentati, se non addirittura interrotti, e da ricostruire.

Insomma, la fede non è una polizza di assicurazione che ci mette al riparo dai rovesci della vita. Al contrario, essa ci aiuta a guardare la vita nella sua complessità, inclusi i dubbi, i turbamenti, i travagli interiori o esteriori, le incomprensioni, le divisioni, le sofferenze. La fede chiara e limpida che ci insegna Giovanni il Battista è una fede capace di sostenere e attraversare anche i momenti più dificili della vita personale, comunitaria, ecclesiale, civile, perché è una fede radicata – come dice san Benedetto – nella partecipazione vitale al mistero pasquale di Cristo (cf. RB, Prol. 50), fonte di vera libertà e di salvezza.

3. Sul piano più propriamente personale ed interiore, il Battista ci insegna anche che la fede ha sempre in sé qualcosa di incompleto. E mi spiego. Se da un lato essa trova in Cristo il suo punto di approdo – poiché è Lui che ci porta a Dio – dall’altro l’atto personale con cui crediamo è soggetto ad una continua maturazione. Quando san Benedetto, nel Prologo alla sua Regola, esorta i suoi monaci a cingersi i fianchi con la fede («Succinctis ergo fide…lumbis nostris»: RB, Prol. 50), tale espressione allude all’azione del cingersi ai fianchi la veste al fine di compiere qualche attività con meno ingombro o di camminare o correre più spediti. Il cammino di fede è «un cammino che dura tutta la vita» (Benedetto XVI, Porta Fidei n. 1), e dunque non possiamo mai sentirci “arrivati”. C’è sempre un “oltre” che ci attende e che ci sprona a proseguire, avanzando nella fede.

4. Giovanni il Battista, inoltre, ci insegna a scrutare con mente attenta e cuore vigile i segni della presenza di Dio nella nostra vita personale e comunitaria, nella Chiesa e nella società, in una parola nelle pieghe della storia dell’umanità. Come monaci, infatti, noi siamo chiamati ad essere sentinelle che vegliano nella notte del mondo e scrutano l’orizzonte per annunciare la luce di un’alba nuova: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21,11). Sì, siamo chiamati – compito entusiasmante ed arduo insieme – ad essere profeti dei tempi nuovi, annunciando il chiarore delle tracce di Dio nel mondo anche quando il disorientamento e le tenebre sembrano prevalere; siamo chiamati a farci intercessori presso Dio per tutti i nostri fratelli e sorelle, sulla scia delle parole del profeta Isaia: «1Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada (…) 6Sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto sentinelle; per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai. Voi, che risvegliate il ricordo del Signore, non concedetevi riposo 7né a lui date riposo» (Is 62,1.6-7a).

5. Qualche parola, infine, sul nome “Giovanni” che, contrariamente alle consuetudini familiari, viene imposto al neonato su indicazione dell’angelo che aveva recato l’annuncio a Zaccaria. Il suo significato è: “Dio è benevolo”. È un nome che dice l’identità e la missione di Giovanni: egli è un dono della benevolenza misericordiosa di Dio, il quale ha reso fertile il grembo vecchio e avvizzito di Elisabetta, sua madre. E – cosa importante da sottolineare – questa benevolenza è accompagnata fin dall’inizio da un sentimento di gioia. Infatti, diversamente dal cliché che prevale nell’immaginario collettivo – quello, cioè, che fa del Battista un uomo rude, aspro, ombroso, quasi selvatico e misantropo (cf. Mt 3,7-12) – la sua figura è in realtà incastonata su un fondale gioioso.

Tale connotazione compare fin dalla prima entrata in scena di Giovanni, quando – ancora nel grembo della madre – sussultò di gioia all’arrivo di Maria che, a sua volta, portava Gesù nel suo grembo. Una riprova della presenza di questa gioia l’abbiamo poi nelle parole che il Battista dirà a riguardo di Gesù: «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,29-30).

L’esperienza della benevolenza o grazia di Dio nei nostri confronti, è la causa della nostra gioia cristiana. Ecco perché quest’ultima dovrebbe particolarmente contrassegnare la nostra vita di monaci e regnare nel nostro cuore e nelle nostre relazioni. Come per Giovanni il Battista, anche la nostra gioia nasce dalla costante “ricerca di Dio” e di ciò che a Lui piace; è generata dall’attesa, dall’incontro e dal riconoscimento della presenza di Cristo nella nostra vita.

Caro Roberto, tra poco diventerai membro effettivo – anche se non ancora in maniera definitiva – di questa nostra comunità di San Paolo flm. Assicurandoti la nostra fraterna compagnia, chiediamo al Signore che ti aiuti a crescere e a fortificarti sempre più nello spirito del suo Vangelo alla scuola di san Benedetto.

Possa la tua diuturna ricerca del Signore generare in te il dono della gioia vera, quella che proviene da Lui e che è frutto dell’Amore misericordioso che Egli riversa costantemente su di te, e che tu sei chiamato a comunicare agli altri, contagiandoli e indirizzandoli a Gesù con la tua testimonianza.

Sì, possa tu vivere e trasmettere, soprattutto all’interno della tua comunità monastica, il gusto dell’amore vicendevole, benevolo, gioioso e ricco di misericordia verso tutti.

La mano del Signore sia con te, Roberto. Per te intercedano san Giovanni Battista, san Paolo apostolo (i cui resti riposano in questa Basilica), e il Nostro Santo Padre Benedetto, assieme a Santa Scolastica e alla schiera innumerevole di santi e sante del nostro Ordine. E così sia!

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