La famiglia e l’arte dell’educare
Ab. Donato Ogliari osb
Già pubblicato su Il Gazzettino di Noci, anno 2015
Nell’ultimo articolo ci eravamo soffermati a riflettere sulla simbologia della civetta e della colomba e su ciò che esse rispettivamente richiamano: la saggezza e la sapienza che viene dall’alto. Avevamo poi terminato con un augurio rivolto a quanti sono direttamente impegnati in campo educativo, in particolare in ambito scolastico. Or vorrei soffermarmi sulla missione educativa della famiglia e, nella fattispecie, dei genitori, la cui naturale vocazione è quella di sapersi ed essere i primi soggetti dell’educazione dei propri figli e di una loro crescita armonica e serena.
Papa Francesco, in una delle catechesi dedicate alla famiglia, dopo aver citato le parole dell’apostolo Paolo: «Voi figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino«» (Col 3, 20-21), così commentava: «Questa è una regola sapiente: il figlio che è educato ad ascoltare i genitori e a obbedire ai genitori, i quali non devono comandare in una maniera brutta, per non scoraggiare i figli. I figli, infatti, devono crescere senza scoraggiarsi, passo passo. Se voi genitori dite ai figli: “Saliamo su quella scaletta”, e prendete loro la mano e passo dopo passo li fate salire, le cose andranno bene. Ma se voi dite: “Vai su!” – “Ma non posso” – “Vai!”, questo si chiama esasperare i figli, chiedere ai figli le cose che non sono capaci di fare. Per questo, il rapporto tra genitori e figli deve essere di una saggezza, di un equilibrio tanto grande». Con queste parole il pontefice invitava i genitori a farsi carico di quell’arte educativa (che gli antichi definivano “ars artium”, l’arte delle arti) che si fa accompagnamento attento e sapiente dei propri figli, al fine di aiutarli a raggiungere la responsabilità di sé e la responsabilità per gli altri.
Purtroppo è risaputo che oggi l’arte di educare subisce pesanti condizionamenti. Innanzitutto, vi è una manifesta rottura del patto educativo tra famiglia e società, tra famiglia e scuola, tra famiglia e chiesa. Se, infatti, nel passato tale alleanza era evidente, oggi non lo è più. Se prima era scontato che vi fosse una naturale convergenza di contenuti formativi tra le varie agenzie educative, oggi tale corrispondenza non esiste più, anzi talora si assiste ad una palese contrapposizione di finalità e di valori difficile da conciliare. Se, infatti, fino ad un passato non molto lontano, quello che un bambino apprendeva in famiglia, gli veniva riconfermato a scuola e nella vita civile ed ecclesiale, e viceversa, ora si è in presenza di un divario sempre più accentuato tra queste stesse istituzioni.
Oggi educare le nuove generazioni è dunque divenuto molto più problematico e difficile. In ambito scolastico, ad esempio, è evidente che – come rammenta papa Francesco – «si sono intaccati i rapporti tra i genitori e gli insegnanti. A volte ci sono tensioni e sfiducia reciproca; e le conseguenze naturalmente ricadono sui figli. D’altro canto, si sono moltiplicati i cosiddetti “esperti”, che hanno occupato il ruolo dei genitori anche negli aspetti più intimi dell’educazione. Sulla vita affettiva, sulla personalità e lo sviluppo, sui diritti e sui doveri, gli “esperti” sanno tutto: obiettivi, motivazioni, tecniche. E i genitori devono solo ascoltare, imparare e adeguarsi. Privati del loro ruolo, essi diventano spesso eccessivamente apprensivi e possessivi nei confronti dei loro figli, fino a non correggerli mai».
Al di là della scuola, è dunque fondamentale che i genitori non abdichino al loro ruolo di primi educatori dei propri figli, memori che tocca ad essi vigilare sulla loro crescita, vagliare quello che apprendono, discernere ed eventualmente correggere atteggiamenti e comportamenti impropri che assimilano negli ambienti extra-familiari. Insomma, è vero che molti genitori sono “sequestrati” dal lavoro, sono assillati da tante preoccupazioni, sono spesso presi in contropiede dalla complessità della vita attuale, e non poco imbarazzati dalle nuove e sempre più incalzanti esigenze dei figli, ma tutto ciò non può esimerli dal dovere di accompagnare questi ultimi nella loro apertura alla vita e al mondo.
Occorre perciò rimettere l’accento sulla famiglia quale primo luogo educativo. «Se l’educazione familiare ritrova la fierezza del suo protagonismo – continua papa Francesco –, molte cose cambieranno in meglio, per i genitori incerti e per i figli delusi. È ora che i padri e le madri ritornino dal loro esilio – perché si sono autoesiliati dall’educazione dei figli –, e riassumano pienamente il loro ruolo educativo». Ovviamente, senza questo protagonismo educativo da parte dei genitori, anche i figli finiranno col sentirsi abbandonati a se stessi. Si pensi ad esempio – giusto per essere concreti – a come vengono riempiti quei momenti familiari nei quali i genitori si ritrovano con i figli. Al riguardo, una cartina di tornasole può rivelarsi il momento dei pasti. Un sacerdote amico ha stigmatizzato in due parole, “citt” e “chat”, il modo con cui spesso li si consuma. “Citt” è una parola dialettale pugliese che sta per: “Zitto!”, e “chat” è un termine inglese che indica il “chattare” (nel gergo di internet, il chiacchierare attraverso la rete). Così, mentre i genitori dicono ai figli di stare zitti perché vogliono seguire il programma televisivo di turno, i figli, a loro volta, si mettono a chattare con i propri amichetti o amichette. Così, un momento della giornata nel quale si potrebbe dialogare di più, conoscersi di più e crescere di più insieme, diventa un tempo di estraniamento reciproco!
Credo che i genitori debbano davvero chiedersi se vi è lo sforzo, in essi, di sapere e di capire “dove” si trovino veramente i propri figli nel periodo della loro crescita puberale e adolescenziale, dove sia realmente la loro anima. A questo fine, la famiglia deve ridiventare il luogo nel quale respirare valori autentici e in cui impegnarsi – sia genitori che figli – a ricercare e a vivere relazioni sane, positive, improntate a un sincero e reciproco affetto, al dialogo sincero, paziente e perseverante, alla condivisione, alla tenerezza dell’amore che – come scrive san Paolo – «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, (…) tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,5-6).
E che tali ambienti familiari siano possibili e possano diventare contagiosi, ce lo ricorda ancora papa Francesco: «Quanti esempi stupendi – afferma – abbiamo di genitori cristiani pieni di saggezza umana! Essi mostrano che la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo. La sua irradiazione sociale è la risorsa che consente di compensare le lacune, le ferite, i vuoti di paternità e maternità che toccano i figli meno fortunati. Questa irradiazione può fare autentici miracoli. E nella Chiesa succedono ogni giorno questi miracoli». Possano avvenire anche nelle nostre famiglie!