COME INCARNARE LA MISERICORDIA NELLA NOSTRA VITA
Ab. Donato Ogliari osb
Già pubblicato su Il Gazzettino di Noci, anno 2015
In un precedente articolo, avevamo utilizzato la metafora del “viaggio” per descrivere il significato della nostra esistenza (v. NG, Luglio 2014). Anche il pellegrinaggio – che è un segno peculiare dell’Anno Santo straordinario della Misericordia, da poco iniziato – evoca il cammino della vita. Nella Bolla di indizione dell’Anno giubilare, papa Francesco scrive:
«La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi».
Siamo dunque invitati a fare della conversione del cuore e della mente la tensione abituale del nostro pensare, del nostro parlare e del nostro agire. Solo così, infatti, la misericordia potrà diventare uno stile di vita che abbraccia il nostro essere nella sua totalità. Anche perché, essere misericordiosi con gli altri, come il Padre lo è con noi, non è qualcosa di spontaneo. La tentazione di ergerci a giudici implacabili degli altri è sempre in agguato e spesso ci si cade dentro senza accorgersene. Di qui la consapevolezza che la méta della misericordia si può raggiungere solo con l’impegno e il sacrificio, e che la conversione è un cammino che riguarda l’arco dell’intera esistenza.
A questo scopo, papa Francesco ci esorta a far nostre le parole che lo stesso Gesù ci ha lasciato nel suo Vangelo: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38).
«Gli uomini – commenta il papa – con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto».
Tuttavia, il Signore non si accontenta di indicarci quello che non bisogna fare e che avrebbe una ricaduta negativa su di noi e sugli altri (come il giudicare e il condannare), ma ci sollecita anche e soprattutto ad agire in maniera positiva. Di qui l’esortazione, che segue, a perdonare e a donare.
Il perdonare – come apprendiamo dall’etimologia di questa parola – comporta un dare in maniera sovrabbondante, maggiorata, per il semplice fatto che il perdono richiede una disponibilità piena a respingere ogni forma di rancore e a versare l’olio della misericordia su chi ci ha arrecato un’offesa o ci ha fatto del male. E proprio perché il perdono risana le nostre relazioni con gli altri a livello psichico, emotivo, morale e spirituale, esso rende interiormente libero chi lo concede, riscattandolo da quella schiavitù entro la quale rimane invece intrappolato chi, roso dall’astio e dal desiderio di vendetta, si chiude al perdono.
Il donare, dal canto suo, è un esercizio che impedisce al nostro cuore di essere anestetizzato dall’indifferenza e di rinchiudersi nel grembo gelido e sterile di un cinico egoismo. Imparare ad essere compassionevoli, aprendoci alle più disparate situazioni di precarietà e di sofferenza per trasformarle in occasioni concrete di carità, non solo contribuisce a diffondere il bene e ad arginare il male attorno a noi, ma produce anche un’intima gioia in chi si fa dono agli altri.
Al riguardo, è utile ricordare che il donare non si esprime solamente nelle realtà materiali, ma anche in quelle spirituali. Ben a ragione, dunque, papa Francesco ci sprona a riconsiderare le “opere di misericordia” nella loro completezza. Accanto alle opere di misericordia corporale (dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti), vi sono, infatti, anche le opere di misericordia spirituale (consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti). Rispolverarle, magari dopo averle prelevate dalla soffitta della nostra memoria, sarà senz’altro utile per risvegliare la nostra coscienza dal torpore dell’abitudinarietà e per entrare sempre di più nel cuore vivo e pulsante del Vangelo.