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DALLA VALLE ALL’ALTURA
Simbologia del cammino spirituale di S. Benedetto
Ab. Donato Ogliari osb

Già pubblicato su Il Gazzettino di Noci, anno 2016

In occasione della Festa liturgica di S. Benedetto, che la Chiesa cattolica universale celebra l’11 luglio, vorrei illustrare brevemente il significato simbolico racchiuso nel trasferimento del Santo da Subiaco, dove aveva iniziato la vita monastica, a Montecassino, luogo nel quale redigerà la famosa Regola, e dove morirà nel 547 circa.
Se negli anni trascorsi a Subiaco dovette misurarsi con un paesaggio delimitato dall’impervia e selvaggia Valle dell’Aniene, con i suoi aspri e boscosi pendii, a Montecassino – dove egli giunse attorno al 529 – Benedetto dovette certamente rimanere affascinato dallo scenario stupendo che si presentava ai suoi occhi. Situato su un promontorio montuoso, elevato di oltre cinquecento rispetto alla pianura sottostante, Montecassino offriva al suo sguardo una vista incantevole, che spaziava in ogni direzione.
Tuttavia, quel passaggio dagli spazi angusti e chiusi della Valle dell’Aniene a quelli ampi e aperti di Montecassino, più che un semplice mutamento geografico e scenografico, può anche essere interpretato come una metafora del cammino ascetico e mistico di Benedetto, ossia come il simbolo di quel percorso interiore che lo aveva portato alle vette della contemplazione e dell’unione con Dio.
Non che tale percorso Benedetto non lo avesse già intrapreso a Subiaco, ma lì – come suggerisce la stessa asperità del luogo – la sua ricerca di Dio era stata soprattutto caratterizzata dai sentieri impervi e spesso tortuosi dell’ascesi e della purificazione del cuore, del confronto serrato con il fascino del male, e della lotta con le tentazioni e le prove da esso derivanti. Il Benedetto che giunge a Montecassino ce lo immaginiamo, invece, come un uomo che, ormai forgiato nel corpo e nello spirito, ha raggiunto la maturità dello spirito. Come lampada posta sul candelabro o come città costruita su un monte (cf. Mt 5,14-15), Benedetto poteva ora irradiare la luce del Vangelo, calcando i sentieri inediti e infiniti dello Spirito Santo, e dispiegando in tutta la loro portata i carismi di cui Dio lo aveva rivestito.
Grazie alla vastità del colpo d’occhio che, dal punto di vista naturalistico, la posizione elevata di Montecassino gli permetteva, Benedetto poteva, per così dire, toccare quasi con mano la dimensione incommensurabile della ricerca di Dio, il quale si offre a chi lo cerca all’interno di un orizzonte spalancato, imprevedibile e illimitato. La ricerca di Dio, infatti, non può essere imbrigliata entro confini già noti, ossia entro esperienze già vissute e date per scontate.
Montecassino può dunque essere assurto – oggi come ieri – a simbolo della vita umana protesa verso l’infinito di Dio. Il dimorarvi diventa una sorta di descrizione spaziale dell’intimo senso della vita monastica, la quale è, appunto, chiamata a tendere alle “cose del cielo” (cf. Col. 3,1-2), come un “dito puntato” verso l’Assoluto, dal quale trarre un senso autentico e definitivo per l’esistenza di quaggiù.
L’incantevole bellezza del paesaggio che anche oggi, dall’altura di Montecassino, i monaci continuano ad ammirare e a contemplare, non è perciò disgiungibile dalla sua profonda connotazione teologica. Essi “stanno sul monte” come sentinelle vigilanti, per cercare e individuare e riconoscere i segni della presenza di Dio nelle pieghe del tempo e della storia. Nel suo significato profondo Montecassino simboleggia, dunque, il punto di incontro tra le realtà terrene e quelle celesti, sintesi fondamentale per ogni credente che voglia vivere in maniera autentica la propria fede in Gesù. Sintesi che va operata al cuore delle scelte quotidiane attraverso la presa di distanza dalla mentalità mondana e le sue evanescenti seduzioni, e con l’occhio vigile di chi sa riconoscere la presenza provvida e misericordiosa di Dio che continua ad intersecare i sentieri dell’umanità per renderli – pur in mezzo alle tante contraddizioni della storia – autentici e luminosi spazi di vita.