L’inizio del Noviziato di Vinicius Barreto nell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura
Da questa mattina, mercoledì 9 ottobre 2024, Vinicius Barreto è un novizio dell’Abbazia di san Paolo fuori le Mura in Roma. La Comunità monastica ha accolto nel suo abbraccio fraterno Vinicius, che ha quindi iniziato il suo cammino verso la professione monastica.
Qui di seguito il testo integrale della riflessione pronunciata per l’occasione dall’Abate Donato :
RITO DI INZIAZIONE ALLA VITA MONASTICA di Vinicius Barreto
Celebrazione della Parola: 1Sam 3,1-10
1Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. 2E quel giorno avvenne che Eli stava dormendo al suo posto, i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non riusciva più a vedere. 3La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio. 4Allora il Signore chiamò: «Samuele!» ed egli rispose: «Eccomi», 5poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. 6Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuele!»; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». 7In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. 8Il Signore tornò a chiamare: «Samuele!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. 9Eli disse a Samuele: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”». Samuele andò a dormire al suo posto. 10Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuele, Samuele!». Samuele rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta».
Per Samuele il momento in cui è stato chiamato dal Signore è facilmente circoscrivibile, anche se ha avuto bisogno della mediazione di Eli per comprenderlo e accoglierlo come tale. Anche nella prima lettura di questa mattina, l’Apostolo Paolo, scrivendo ai Galati, rievocava indirettamente il momento (sulla via di Damasco) in cui Dio lo aveva chiamato con la sua grazia (cf. Gal 1,15). Credo che sia abbastanza facile anche per ciascuno di noi riandare col pensiero – se non proprio al momento iniziale – almeno a qualche intuizione o incontro che ci ha portato a rispondere al Signore che ci chiamava, aprendoci al dono della vita consacrata. Come poi la sua grazia si sia incontrata con la nostra libera volontà, facendo scoccare la scintilla della nostra sequela di Lui – che per alcuni si è realizzata subito, per altri dopo un tempo più o meno lungo di incubazione – tutto ciò fa parte del mistero racchiuso nella stessa vocazione.
La vita monastica benedettina – come dice san Benedetto – si configura essenzialmente come una «schola dominici servitii», una «scuola del servizio del Signore» (RB, Prol. 45). Ed è una scuola speciale. Non la si frequenta, infatti, solo per un periodo più o meno lungo, come, ad esempio, nell’anno di noviziato, ma per tutta la vita, poiché per tutta la vita la nostra condizione rimane sempre quella di discepoli alla scuola del divin Maestro, Gesù.
Infatti, lo scopo della vita monastica, secondo san Benedetto, è quello di “cercare Dio” (cf. RB 58,7). Ora, Dio non si fa trovare una volta per tutte. Se così fosse Dio non sarebbe più Dio, perché Dio non può essere afferrato, compreso e circoscritto dalla nostra mente e dalla nostra esperienza di vita una volta per tutte. Dio è eccedente, ossia è sempre oltre rispetto a quello che riusciamo a capire e a vivere di Lui. E siccome la via che ci conduce a Dio è Gesù, volto incarnato del Padre, cercare Dio alla “scuola del servizio divino” significherà imparare a conoscere sempre di più e meglio Gesù; consisterà – come scrive l’autore della Lettera agli Efesini – nell’“imparare il Cristo” (cf. Ef 4,20: «emàthete tòn Cristòn»), ossia nel metterlo al centro della nostra vita per conformarci sempre di più a Lui, imparando – facendole nostre – le parole e i gesti dell’Amore che salva e che Gesù ha incarnato!
La nostra vocazione o chiamata originaria deve dunque continuare a riverberare la sua luce e la sua forza di attrazione sul nostro cammino di sequela di Gesù. In caso contrario, diventeremmo facile preda dei nostri progetti, preferendoli a quelli che Cristo ha su di noi, rientrando in tal modo – come scrive l’apostolo Paolo – nella schiera di coloro che «cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2,21). Ma se così fosse, sarebbe davvero un grave insulto al dono della nostra vocazione, la quale non può essere assolutamente identificata con la ricerca dei nostri interessi, talora meschini, poiché sullo sfondo della nostra vita monastica deve rimanere prioritario e centrale il progetto di amore che il Signore ha su di noi, un progetto che, sullo sfondo della Croce, ha il volto dell’umiltà, del servizio, dell’amore senza limiti.
Come scrive l’Ab. Mauro Giuseppe Lepori, si fa in fretta a scivolare «fuori dalla via tracciata dal Maestro e Signore, dimenticando che la sua prima lezione di vita e vocazione è la lavanda dei piedi, la sua cattedra la Croce, la sua sapienza la mitezza e umiltà del suo Cuore». Ci si può allontanare da Gesù attraverso «un’impercettibile ma progressiva conformazione al mondo, ai suoi progetti, alla sua idolatria del successo, della realizzazione di sé».
Quali sono, allora, le attitudini grazie alle quali ci è possibile far sì che il nostro cammino monastico – sia esso agli inizi o sia già molto avanzato – non sia dissociato dalla nostra chiamata originaria, ma si traduca giornalmente in una sequela sempre più convinta di Gesù?
* La prima attitudine da mantenere desta è quella dell’ascolto: «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta», sono le parole che Samuele rivolge al Signore che lo chiama. La stessa Regola benedettina inizia con un imperativo che dà il LA alle esortazioni che seguono: «Obsculta, fili – Ascolta, o figlio» (RB, Prol. 1). Anche il brano evangelico ascoltato stamattina ci ha presentato una bella icona dell’ascolto: Maria che, “ad pedes Domini”, si abbevera alla Parola di Gesù, mentre sua sorella Marta è occupata nelle faccende domestiche.
* La seconda attitudine è quella del silenzio, strettamente collegato all’ascolto. È nel cuore della notte che il Signore parla a Samuele. Eccetto forse nelle megalopoli, di notte tutto tace, la natura tace, e la quiete e il silenzio subentrano anche al rumore e alla frenesia delle attività quotidiane… Senza il silenzio, non solo esteriore, ma anche interiore, quello del cuore, non vi può essere un ascolto autentico della Parola del Signore. La dimensione del silenzio è la via privilegiata all’incontro con Lui e con la sua Parola!
* La terza attitudine è la docibilità, frutto, appunto, di un cuore docile, umile, che desidera imparare, e per questo si fa terreno molle e permeabile per accogliere gli insegnamenti che gli vengono rivolti. La docibilità passa anche attraverso la disponibilità a lasciarsi “accompagnare”. Lo stesso Samuele ha avuto bisogno della mediazione di Eli per comprendere che il Signore lo chiamava e per accogliere la sua Parola.
La formazione iniziale – in particolare l’anno di noviziato – è un tempo prezioso in cui ci si addentra nelle dinamiche della vocazione monastica lasciandosi guidare da chi è preposto alla formazione: il Maestro, che agisce in accordo con le indicazioni dell’abate, ma anche la comunità, che – dopo lo Spirito Santo – rimane il primo soggetto formativo. La formazione dei giovani, infatti, è un compito che, in un modo o nell’altro, tocca tutti i membri della comunità, dal momento che essa avviene nel seno della comunità. Quest’ultima è dunque chiamata ad accudire e ad accompagnare le nuove vocazioni con l’esempio e la testimonianza generosa e gioiosa di una vita vissuta alla scuola di san Benedetto, nella quotidiana fedeltà a Gesù e al suo Vangelo.
* La quarta attitudine – fondamentale non solo per san Benedetto, ma anche per tutta la tradizione spirituale – è, infine, l’esperienza degli “obprobria” (cf. RB 58,7), ossia delle contrarietà e delle umiliazioni che possono entrare in collisione con i nostri gusti, i nostri modi di giudicare le cose, il nostro orgoglio.
È significativo che Benedetto parli degli obprobria nel capitolo dedicato ai novizi. Questo ci fa capire che esse rappresentano un’iniziazione alla quale essi sono sottoposti fin dai primi passi della vita monastica. Del resto, il non rifuggire le contrarietà, ma il sopportarle e l’affrontarle, fa crescere e maturare nell’assunzione della croce di Gesù, sigillo e garanzia di autenticità della nostra sequela di Lui: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23).
Naturalmente, la ragione profonda di tale sopportazione degli obprobria risiede nel fatto di poter verificare fino a che punto il novizio sa affrontare le sofferenze e i sacrifici richiesti dalla vita monastica per amore di Colui che è all’origine della sua chiamata, di Colui che il novizio dovrebbe seguire come Colui che gli è caro al di sopra di tutto e di tutti: Cristo (cf. RB 5,2).
Anche lo Pseudo-Macario, che abbiamo ascoltato questa mattina all’Ufficio delle Letture, ce lo ha ricordato: «Se aspiri alla gloria umana e desideri ricevere onori ed essere rispettato e vai cercando una vita comoda, significa che hai già smarrito la strada che devi seguire. Occorre, infatti, che tu sia crocifisso assieme a colui che è stato crocifisso e soffra con chi ha sofferto, per essere glorificato in unione con colui che è stato glorificato».
* Infine, è significativo che il Rito di iniziazione alla vita monastica di fratel Vinicio avvenga nel giorno in cui celebriamo la memoria liturgica di S. Giustina. Come sappiamo, il nome di questa vergine e martire padovana è associato alla grande riforma monastica iniziata dal Ven. Ludovico Barbo, agli albori del Quattrocento, nel monastero patavino a lei dedicato.
Tale riforma ha portato alla formazione della “Congregazione di S. Giustina” o “de unitate”, che assumerà la denominazione di “Cassinese” nel 1504, con l’ingresso, nel movimento di riforma, dell’Abbazia di Montecassino. Nel XIX secolo dalla Congregazione Cassinese nascerà la Congregazione Cassinese della Primitiva Osservanza che, in seguito, prenderà il nome di “Congregazione Sublacense”. Come è noto, dal 2013 le due Congregazioni sono ritornate ad essere “una” grazie all’incorporazione della Congregazione Cassinese nella Congregazione Sublacense, ora Congregazione Sublacense Cassinese.
È importante ricordare questi mutamenti perché sono la chiara dimostrazione del fatto che anche il monachesimo è un corpo vivo, un corpo che può ammalarsi e riprendersi, oppure deperire e morire, ma anche ringiovanire e risorgere. E siccome tutto questo, oltre che a cause esterne, dipende in buona misura dalle persone, dai monaci, è sulle loro spalle – oggi le nostre – che ricade la responsabilità di mantenere viva e significativa, nel mutare dei tempi, la vocazione monastica benedettina, testimoniando la bellezza e la perennità della proposta benedettina: ora, labora et lege. Per farlo abbiamo anche noi bisogno di essere continuamente riformati, o meglio ri-evangelizzati, per far continuamente nostri e testimoniare alla Chiesa e al mondo non i nostri interessi, ma quelli di Cristo, quelli che seminano gioia, pace, solidarietà, fratellanza, giustizia, amore, in una parola salvezza.
U.I.O.G.D.