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Natale 2023, Messa del Giorno: l’omelia dell’Abate Donato

1In principio era il Verbo,

e il Verbo era presso Dio

e il Verbo era Dio.

2Egli era, in principio, presso Dio:

3tutto è stato fatto per mezzo di lui

e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini;

5la luce splende nelle tenebre

e le tenebre non l’hanno vinta.

6Venne un uomo mandato da Dio:

il suo nome era Giovanni.

7Egli venne come testimone

per dare testimonianza alla luce,

perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Non era lui la luce,

ma doveva dare testimonianza alla luce.

9Veniva nel mondo la luce vera,

quella che illumina ogni uomo.

10Era nel mondo

e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;

eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

11Venne fra i suoi,

e i suoi non lo hanno accolto.

12A quanti però lo hanno accolto

ha dato potere di diventare figli di Dio:

a quelli che credono nel suo nome,

13i quali, non da sangue

né da volere di carne

né da volere di uomo,

ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi abbiamo contemplato la sua gloria,

gloria come del Figlio unigenito

che viene dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

15Giovanni gli dà testimonianza e proclama:

«Era di lui che io dissi:

Colui che viene dopo di me

è avanti a me, perché era prima di me».

16Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto:

grazia su grazia.

17Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

18Dio, nessuno lo ha mai visto:

il Figlio unigenito, che è Dio

ed è nel seno del Padre,

è lui che lo ha rivelato (Gv 1,1-18)

Mentre il vangelo della Messa della Notte ci ha descritto la nascita di Gesù avvenuta in una stalla e l’annuncio dell’evento dato ai pastori, in questa Messa del Giorno l’evangelista Giovanni ci offre una riflessione profonda sull’Incarnazione del Figlio di Dio, riflessione che trova il suo apice nell’espressione: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»(Gv 1,14). In queste parole è sintetizzato il significato della nascita di Gesù, il Figlio di Dio, che l’evangelista Giovanni chiama Verbo o Parola di Dio. Con la sua Incarnazione, la dimensione divina e quella umana si intersecano e cessano di essere due realtà incomunicabili.

L’uso, poi, del termine “carne” – che qui designa i limiti che caratterizzano la nostra natura umana – sottolinea in maniera realistica come, divenendo uno di noi, il Figlio di Dio abbia assunto in tutto la nostra condizione umana, inclusa dunque la nostra fragilità (ad eccezione del peccato) e la nostra mortalità. L’ulteriore specificazione: «e venne ad abitare in mezzo a noi» – letteralmente: «e pose la sua tenda in mezzo a noi» (gr.: eskenosen en emin [skené: tenda]), mentre da un lato sottolinea l’assunzione della nostra fragile umanità – fragile come una tenda, appunto, sottoposta alle intemperie – dall’altro allude alla presenza concreta e visibile di Dio, “attendato” tra gli uomini nella persona del suo Figlio, una presenza che sostituisce quella fino ad allora invisibile di Dio nella tenda del convegno o nel tempio dell’antica alleanza (cf. Es 25,8).

Salvezza e Amore

Alla domanda sul perché il Verbo di Dio si sia fatto uomo, possiamo rispondere con un’affermazione del Credo che canteremo tra poco, e che recita così: «Per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo». In quel “per noi” è racchiusa la risposta al perché Dio abbia deciso di venirci incontro e salvarci. Lo ha fatto unicamente perché ci “ama” (cf. 1Gv 4,10.19). Egli è disceso dal cielo sulla terra spinto unicamente dall’amore, e nient’altro che dall’amore. L’evangelista Giovanni lo ha affermato a chiare lettere: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Soprattutto, con la nascita nella carne del suo Figlio Gesù, Dio Padre ha potuto riversare sull’essere umano l’amore infinito che lo lega al Figlio. Entriamo qui nel mistero dell’amore di Dio che avvolge tutti coloro che credono in Gesù e che, accogliendolo in quanto Figlio di Dio, partecipano della sua figliolanza divina, come ci ha ricordato l’evangelista Giovanni: «A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio» (v. 12). Sì, grazie all’assunzione della nostra umanità da parte di Gesù, anche noi – incorporati a lui nel battesimo – siamo raggiunti dall’amore incommensurabile del Padre. È l’admirabile commercium, il “sublime scambio” di cui parla la liturgia di questo periodo natalizio, il mistero di un «Dio che si è fatto uomo affinché l’uomo diventasse Dio» (Sant’Agostino).

Possibilità di futuro

Nel brano evangelico proclamato, tuttavia, l’evangelista Giovanni parla anche del dramma della libertà umana, delle scelte, cioè, che siamo chiamati a compiere e che includono la possibilità di rifiutare l’amore immenso di Dio per noi. Nella visione cristiana tale rifiuto è alla radice di ogni forma di male. Diceva il card. Carlo Maria Martini:

«Il rifiuto produce il male. Ci si lamenta tanto del male che è nella vita e nella società; si pensa, con dolore e sdegno, ai tanti mali che affliggono il mondo. Ma occorre domandarsi anche donde nasce tutto questo male. Il male nasce dal non volere accogliere gli altri e neppure sé stessi, dal non concedere attenzioni alle persone, dal non interrogarsi su che cosa sia propriamente quel bene che si dice di volere agli altri e che si augura distrattamente agli altri durante i giorni di Natale.

Se si avesse il coraggio e la pazienza di esaminare i vari beni che si desiderano, che si augurano a sé stessi e agli altri per il Natale, si arriverebbe a scoprire che essi rinviano sempre oltre, verso una vita e una luce che sono i doni divini recati a noi da Gesù che viene nel mondo. Dunque il male è il rifiuto di Cristo e il bene, la libera ricerca del bene, è accoglienza di Cristo».

Noi

Quale dev’essere allora la nostra risposta al messaggio che il Natale di Gesù ci consegna? Uno dei canti natalizi più noti, l’Adeste fideles – Venite, o fedeli, termina con un interrogativo che include la risposta a ciò che si attende da noi: «Come non riamare colui che ci ha tanto amati? – Sic nos amantem quis non redamaret?».

Carissimi, possiamo certamente fare molte cose per vivere al meglio il Natale ed evitare che esso sia ridotto a una mera festa consumistica, ma l’atteggiamento più autentico e profondo che siamo chiamati ad assumere ci è suggerito proprio dalle parole di questo canto natalizio. Il modo migliore per celebrare la nascita di Gesù è coltivare nel cuore ed esprimere con la vita la nostra sincera gratitudine, la nostra commozione e il nostro amore – per quanto piccolo, imperfetto e impari – per Colui che è venuto ad abitare in mezzo a noi. Questo è il dono più gradito che possiamo offrire al Bambino Gesù, l’ornamento più bello e prezioso da deporre nel suo presepio.

Gesti concreti di amore

Come sempre, però, la nostra risposta di amore a Gesù sarebbe incompleta se non contemplasse anche la sua traduzione in gesti concreti di amore verso gli altri. Amare Gesù, infatti, significa amare in lui ogni nostro fratello e sorella. Apriamoci, allora, a chi è solo, povero, sofferente, scoraggiato o deluso dalla vita… Diciamo una parola buona a chi è soverchiato dal peso e dall’angoscia delle difficoltà quotidiane, offriamo un incoraggiamento, un sorriso a chi è nella tristezza, facciamo visita a chi è solo e/o malato… Ogni gesto di amore, anche se piccolo, offerto a chi è nel bisogno, è fatto allo stesso Gesù. Ogni parola o gesto di amore che riusciamo a offrire agli altri è una luce che si accende nel presepio.

«Il Natale è l’invito a farci dono, a farci prossimo, a dire meno volte “io” e più volte “tu”.

Natale è sentire, è capire che l’umanità è una sola, è unica, che tutti insieme (…) ci salveremo o ci perderemo.

Allora il più grande dono che possiamo farci a Natale siamo noi. Dobbiamo regalarci l’uno all’ altro: questo è il segreto del Natale» (don Tonino Bello).

Questo l’augurio di buon Natale, o meglio, di un Natale “buono” che formulo per ciascuno di noi. E così sia.

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