Santo Natale 2025, Messa della Notte. L’omelia dell’Abate Donato
Messa della Notte
Ab. Donato Ogliari O.S.B.
Di fronte al racconto della nascita di Gesù la prima reazione è quella dello stupore. Stupore per un Dio che si fa uomo, che lascia la beatitudine della vita divina per entrare nel vivo della nostra storia umana, dove regna l’esperienza del limite, dell’imperfezione e del male in tutte le sue sfaccettature e le sue brutture. Il mistero della nascita di Gesù, Figlio di Dio – che l’evangelista Luca ha descritto con le immagini semplici e spoglie dell’umiltà e della povertà della grotta di Betlemme (cf. Lc 2,1-14) – esprime la scelta stupefacente di un Dio che da Creatore si fa creatura, per porsi al nostro fianco e camminare insieme con noi lungo i solchi della storia. Pur sapendo che quest’ultima è segnata da contraddizioni ed errori, Egli l’ha assunta attraverso l’Incarnazione del suo Figlio Gesù perché in essa si dispiegasse il suo disegno di amore e di salvezza per l’umanità. Nel fare così, Dio ha infuso una speranza nuova nel cuore dell’essere umano e gli ha spalancato orizzonti inediti.
Questo è il motivo della “grande gioia” annunciata dall’angelo ai pastori nella notte santa in cui, in una grotta di Betlemme, Maria ha dato alla luce Gesù. Nel trovarsi di fronte un bambino deposto in una mangiatoia, i pastori avranno certamente pensato che si trattasse di un altro figlio della povertà e dell’emarginazione, che veniva ad aggiungersi alla folta schiera di quanti già ne facevano parte, come loro. E tuttavia, la loro “grande gioia” nasceva proprio dalla consapevolezza che il Figlio di Dio non aveva scelto di entrare nel mondo nascendo in un palazzo dorato e parato a festa, con mille mani pronte a servirlo, ma in un luogo adibito a stalla, con una mangiatoia come culla e nel più completo anonimato.
Infrangendo ogni aspettativa, Dio non solo si fa uomo, ma nasce nell’indigenza e lontano dai riflettori, per farci comprendere come la sua salvezza si incarni soprattutto nei luoghi della precarietà, della povertà, del disagio, dell’emarginazione e dell’esclusione («per loro [Giuseppe, Maria e il bambino che portava in grembo] non c’era posto nell’alloggio». Non solo, l’umiltà della sua nascita rende – per così dire – sacre anche le pieghe più aspre e oscure della nostra quotidianità, con le sue miserie, le sue ferite e i suoi peccati, perché il Bambino Gesù è venuto a trasformare tutto con la potenza del suo Amore.
Tuttavia, se gettiamo uno sguardo alla storia dei secoli passati e a quella attuale, l’Amore divino fatto carne in Gesù non sembra aver modificato in profondità lo scorrere della vita, almeno se la osserviamo da una prospettiva esterna. Oggi come ieri, infatti, si sta bene e ci si ammala, c’è chi ride e chi piange, chi è ricco e chi è povero; gli egoismi, le sperequazioni sociali, le ingiustizie e le sopraffazioni non sono scomparse, così come le violenze e le guerre fratricide non smettono di insanguinare il nostro pianeta e di minare alla base le più genuine aspirazioni alla concordia, alla pace e alla fratellanza universale. Tutto ciò che accadeva ai tempi di Gesù, continua a succedere anche oggi, nel nostro tempo, sotto i nostri occhi!
Ciò nonostante, noi continuiamo a credere che chi accoglie Gesù nella propria vita come il Salvatore, sperimenta la stessa “gioia grande” che hanno provato i pastori in quella notte in cui hanno visto Gesù nella grotta di Betlemme, una gioia grande che viene da Lui e che ci consente di guardare alle vicende di questo mondo – anche quelle più contradditorie e angoscianti – con uno sguardo luminoso in grado di cogliere la presenza benevola e misericordiosa di Dio che continua ad agire al loro interno, a sostenerci e ad accompagnarci.
È una gioia tutta radicata nella certezza che con Gesù la nostra esistenza acquista un sapore diverso, perché ci sentiamo guardati da Dio, Padre suo e Padre nostro, da Lui amati e saldamente ancorati a una speranza che non delude e che nessuno potrà mai rubarci.
Da qui scaturisce la nostra fiducia in un futuro migliore, nonostante le apparenze contrarie. Da qui la consapevolezza di non poter abdicare, ma di dover perseverare nell’impegno a edificare un mondo più giusto, più solidale, più fraterno, in una parola, un mondo illuminato dalla forza dell’amore che Gesù ci ha donato e che ora tocca a noi far risplendere nei gesti concreti della nostra quotidianità, soprattutto nell’improntare alla concordia e alla pace le nostre relazioni con gli altri.
L’annuncio dell’angelo ai pastori: «Oggi vi è nato un Salvatore!» continua dunque a risuonare anche per noi come un invito a riconoscere l’“oggi” della salvezza di Dio che ci sprona a una vita umile, semplice, generata dal vangelo e ricca di bontà e di carità. Ogni qualvolta noi permettiamo a Gesù di rinascere in noi, la sua salvezza misericordiosa continua a scorrere inarrestabile nelle vene della storia. Ed Egli rinasce in noi ogni qualvolta tendiamo la mano a un fratello o sorella in difficoltà, ogni qualvolta sorridiamo a chi è triste o ci poniamo in ascolto di chi ha il cuore in pena, ogni qualvolta costruiamo ponti e non muri. Gesù rinasce in ogni piccolo gesto di bontà e, rinascendo, ci avvolge nel suo amore e ci offre il dono inestimabile della sua pace. Solo allora sarà davvero Natale. Oggi, domani e sempre. E così sia.














































