Prima domenica di Avvento a San Paolo fuori le Mura: l’Omelia dell’Abate Donato
I DOMENICA di AVVENTO – A
Mt 24,37-44
Luce e tenebre
Il tempo di Avvento – con il quale oggi la chiesa dà avvio all’Anno liturgico – cade in un periodo dell’anno in cui le giornate si accorciano sempre di più fino a che il 21 dicembre, solstizio d’inverno, la luce ritornerà piano piano a prendere il sopravvento e a imporsi sulle tenebre. Luce e tenebre: due elementi che appartengono al ciclo della natura e che si manifestano visibilmente nell’alternanza tra il giorno e la notte, ma che possono anche essere intese come il simbolo della nostra vita, dove le esperienze luminose come la gioia, la concordia, la pace, si intrecciano con quelle di stampo – diciamo così – oscuro, come le sofferenze, le divisioni, le violenze.
Questa antitesi luce-tenebre è presente anche nella seconda lettura (cf. Rom 13,11-14a) dove l’apostolo Paolo contrappone al mondo del peccato e del male, simboleggiato dalle tenebre, il mondo della Grazia, simboleggiato dalla luce (“Dio è luce”: 1Gv 1,5). Qui san Paolo elenca alcune “opere delle tenebre”, dando loro un nome preciso: orge, ubriachezze, lussurie, impurità, litigi e gelosie (cf. Rm 13,13), e afferma che si può prevalere su di esse se ci si riveste del Signore Gesù Cristo (cf. Rm 13,14).
È dunque su di Lui, Gesù “luce del mondo”, che deve rimanere fisso il nostro sguardo di credenti, se non vogliamo diventare succubi delle tenebre del male e del peccato! E anche quando la strada da percorrere sembrerà impervia e tortuosa, sarà la certezza che Gesù ci è vicino a costituire la nostra intima forza e a permetterci di proseguire il cammino con rinnovata fiducia.
Il “medius adventus”
Il Tempo di Avvento ci invita dunque a riappropriarci di questa certezza. Anche se storicamente Gesù è già venuto nella carne 2000 anni fa, egli chiede tuttavia anche oggi di poter essere ospitato nella nostra vita. È la cosiddetta venuta di mezzo, il medius adventus – come affermava san Bernardo –, ossia quella venuta che avviene ogni giorno, perché ogni giorno il Signore bussa alla porta del nostro cuore chiedendo di entrarvi per prendere dimora e assolare i nostri giorni con la sua presenza. È una venuta nella quale l’amore del Signore incrocia senza sosta la nostra libertà nell’attesa di un “sì” che gli permetta di entrare e camminare con noi lungo i sentieri della storia. «È il continuo avvento del Signore nel mistero dei sacramenti, nella parola ecclesiale, negli eventi della grande storia di cui egli tiene le fila, nella “piccola storia” della vita di ognuno. Quando, con la preghiera del Signore, invochiamo: “Venga il tuo regno” l’oggetto del nostro desiderio è questo mistero sempre in atto che copre tutto l’arco della storia» (M. Magrassi).
La venuta definitiva del Signore
Il vangelo proclamato ci fa però spingere lo sguardo anche in avanti, verso l’incontro definitivo con il Signore, quando Egli verrà nella sua gloria alla fine dei tempi. Anche se questa sua venuta potrebbe sembrarci molto remota, occorre che ci prepariamo a questo incontro già fin d’ora. Come? Vigilando, innanzitutto. Infatti, quello della vigilanza è il tema che percorre questa pagina evangelica, soprattutto perché – ci dice Gesù – la sua venuta sarà imprevedibile e improvvisa: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. (…) tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24, 42.44).
Lo stesso richiamo al tempo di Noè, che Gesù fa all’inizio del brano evangelico, ha lo scopo di evidenziare che gli uomini di quel tempo vivevano talmente immersi nelle preoccupazioni quotidiane da non accorgersi minimamente del giudizio di Dio che stava per abbattersi su di loro attraverso il diluvio.
L’attesa vigilante e paziente
L’Avvento richiede, dunque, che attendiamo il Signore rimanendo vigilanti. Non si tratta, cioè, di un’attesa passiva e amorfa, ma operosa, ricca di gioia e di fiducia, perché in questa attesa c’è tutta la nostra vita che attende di essere rischiarata e potenziata dall’incontro con il Signore. Del resto, «l’attesa è la trama stessa della vita. Essa la sottende di forza e di debolezza. Impaziente e placida, l’attesa accompagna la vita in tutte le sue ricerche, in tutti i suoi incontri. Ne raccoglie i segreti. È di volta in volta il suo freno e il suo trampolino di lancio, la sua memoria e il fremito del suo cuore… L’attesa è in qualche modo completamente noi stessi, con le nostre qualità e i nostri difetti, con le nostre certezze e i nostri interrogativi, con i nostri bisogni e i nostri desideri» (F. Debuyst).
Del resto, il senso del nostro attendere il Signore che viene risiede nella consapevolezza che qualsiasi momento è un segmento di vita nel quale il Signore ci viene incontro per riempire la nostra quotidianità con la luce del suo amore. Questo è il significato profondo che l’Avvento riveste per noi, il motivo per cui continuiamo a celebrarlo ogni anno. E questo è il motivo per cui dobbiamo essere vigilanti, al fine, cioè, di poter riconoscere questa sua presenza amorosa che ci sostiene e ci salva.
Volgiamo allora il nostro sguardo verso Maria, la figura-simbolo dell’Avvento. Ella ci fa comprendere che ogni vita umana e ogni cammino di fede sono un’attesa del Signore che viene, luce del nostro cammino. Ci aiuti Lei a camminare incontro a Gesù e a riconoscerlo presente nelle pieghe della nostra quotidianità. E così sia.























































































