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Esequie di D. Martino Siciliani O.S.B., l’omelia dell’Abate Donato

San Pietro – Perugia

Lunedì 5 maggio 2025

D. Martino è stato chiamato alla Casa del Padre in questo Tempo pasquale, tempo liturgico col quale prolunghiamo la celebrazione della vittoria di Cristo sulla morte. Quale sfondo migliore per vivere, alla luce della fede cristiana, l’ingresso di D. Martino nella vita eterna, le cui porte sono state spalancate dal Cristo risorto?

E tuttavia anche il Tempo pasquale si intreccia con la vita quotidiana in tutte le sue dimensioni, con i suoi ritmi esteriori e interiori, nell’alternanza di luci e di ombre, di gioie e di sofferenze, di slanci mistici e di aridità. Se i ritmi interiori non sono sempre chiaramente identificabili, perché fanno parte del tessuto più intimo di una persona, quelli esteriori sono più facilmente riconoscibili, se non altro perché ci si parano davanti nella loro fattualità.

Così, la nostra comunità monastica di San Paolo fuori le Mura – di cui San Pietro di Perugia è da otto anni una piccola appendice – nel giro di ventiquattro ore è stata toccata da due eventi che si sono succeduti all’interno del normale decorso dei suoi ritmi quotidiani: da una parte la gioia di una consacrazione al Signore, la Professione monastica di D. Lorenzo, avvenuta ieri mattina nella splendida cornice della Basilica ostiense, e, dall’altra, la mestizia, benché intrisa di fede, per le esequie, che stiamo celebrando, del nostro fratello D. Martino.

Una vita che si apre al dono di sé al Signore e ai fratelli – quella di D. Lorenzo – e un’altra – quella di D. Martino – che ha terminato la sua parabola terrena e che, staccatasi da questo mondo, è entrata nell’eternità di Dio. Due eventi che, senza essere in contrapposizione l’uno con l’altro, si offrono allo sguardo della nostra fede come due aspetti di un unico, grande mistero: la vita come “dono”, ricevuto e offerto. Da una parte, una vita che ha scelto di “farsi dono” al Signore e ai fratelli nella vita monastica e che guarda al futuro che gli viene incontro, e dall’altra una “vita monasticamente donata” che ha terminato la sua corsa e che, spentasi alle luci del mondo, è entrata per sempre nel futuro di Dio.

Anche una “vita donata”, come quella di D. Martino, non è facilmente riepilogabile. Molte cose rimangono inafferrabili, per il semplice motivo che il “dono” racchiude sempre molto di più di quello che appare ai nostri occhi. Soprattutto, solo Dio conosce il bene che la vita di D. Martino ha seminato e lasciato dietro di sé. Noi possiamo solo evocare qualche aspetto che l’ha caratterizzata e che ci può dare la misura dell’uomo, del cristiano, del monaco e del sacerdote che D. Martino è stato.

Al di là della malattia che, in questi ultimissimi anni, lo aveva debilitato, e che aveva finito col prostrarlo nel corpo – senza tuttavia piegarlo nello spirito, che in D. Martino rimaneva indomito –, mi piace pensare che la grazia di Dio abbia mantenuto vigile il suo cuore anche nei momenti più bui e sofferti, permettendogli – come dice san Benedetto – di continuare a cercare e a magnificare il Signore che operava in lui (cf. RB, Prol. 30) anche nella malattia. E mi piace altresì pensare che D. Martino, al momento di esalare l’ultimo respiro, sia andato incontro al Signore risorto, che lo attendeva sulla riva dell’eternità, con la stessa semplicità dai tratti vivaci e un po’ sbarazzini e con la stessa peculiare ma simpatica esuberanza che lo aveva caratterizzato in vita e che, in qualche caso, avevano richiesto uno sguardo paziente in chi gli stava vicino.

Ora che non appartiene più al mondo di quaggiù, D. Martino può finalmente contemplare il volto del Signore che in vita – come ogni monaco che si mette alla scuola di san Benedetto – ha cercato quotidianamente (cf. RB 58,7).

Lo ha cercato nelle stanze più riposte del proprio cuore, dentro le attese, i desideri e gli entusiasmi che ha coltivato, ma anche dentro le increspature, i limiti e le fragilità che hanno accompagnato la sua esistenza terrena.

Ha cercato Dio nelle pieghe della vita comunitaria – vissuta per oltre settant’anni – dove, accanto alle gioie derivanti da una vita fraterna radicata in Cristo Gesù e nel suo Vangelo, ha anche dovuto fare i conti con le proprie e altrui spigolosità, sperimentando la bellezza ma anche la fatica del crescere nell’amore vicendevole.

Ha cercato Dio nell’impegno pastorale all’interno di questa diocesi, impegno che lo ha visto attivo su vari fronti, da quello del servizio alle comunità religiose a quello della pastorale, nella parrocchia di S. Costanzo e qui in basilica. Chissà di quanti di voi qui presenti avrà benedetto il matrimonio!

Ha cercato Dio nelle relazioni che ha intessuto a più livelli con tantissime persone, con uno sguardo accogliente verso tutti, senza distinzioni.

Ha cercato Dio nelle persone bisognose – spiritualmente e materialmente – alle quali ha sempre aperto il proprio cuore e le proprie mani.

Da ultimo, ha cercato Dio anche nell’ambito culturale e scientifico, in particolare in quello della sismologia, nel quale ha operato per molti anni in qualità di Direttore dell’Osservatorio Sismico “Andrea Bina”, situato nei locali dell’Abbazia di San Pietro. In questo ambito era molto apprezzato per le sue competenze sviluppate sul campo e per le sue capacità divulgative. Quante scolaresche sono passate davanti ai suoi occhi! Molti di voi saranno certamente al corrente che, a motivo della sua pluriennale direzione dell’Osservatorio sismico di San Pietro – durata dal 1971 al 2025 – D. Martino fu iscritto, nel 2013, nell’Albo d’Oro della Città di Perugia!

Ma, soprattutto, il suo impegno in questo campo ci dice come anche l’attività culturale e scientifica possa veicolare la “ricerca di Dio” che è alla base della vita monastica benedettina. E al riguardo, mi pare che non sia fuori luogo evidenziare la stretta analogia che esiste tra la sismologia e la “ricerca di Dio”. A ben pensarci, infatti, come lo studio dei fenomeni sismici si fonda su riscontri e interpretazioni dei movimenti tellurici che avvengono in profondità e che, in sé, non sono visibili – poiché di visibile ci sono solo gli effetti, talora devastanti – così, nella “ricerca di Dio” non è possibile vedere l’oggetto del proprio cercare, e tuttavia ci si sforza di cogliere e interpretare, alla luce della Parola di Vita che Gesù ci ha lasciato e nella forza dei suoi sacramenti, le tracce della presenza del Signore in noi e attorno a noi, nel volto delle persone che ci circondano, negli accadimenti della micro e macro-storia. Tutto, anche la più minima oscillazione, viene registrato in un cuore che cerca di sintonizzarsi con la volontà di Dio, proprio come faceva Maria, la quale conservava e meditava dentro di sé ogni cosa che si diceva del suo figlio Gesù.

Ma, alla fine di tutto, quando un monaco abbandona la scena di questo mondo, la cosa che maggiormente commuove è la perseveranza con la quale egli ha saputo portare avanti la sua ricerca di Dio, sia nei momenti lieti e gratificanti sia nei momenti incerti, tristi o dolorosi, fino alla fine dei suoi giorni. Questa è davvero la cosa che più commuove e conforta: che, al di là di tutto – anche dei propri errori e dei propri peccati – un monaco sappia perseverare umilmente, giorno dopo giorno, nella sequela del suo Signore, sostenuto dalla luce indefettibile della fede, della speranza e della carità, fino al momento di sciogliere le vele. E questo, a modo suo, lo ha fatto anche il nostro caro D. Martino.

È al Signore che ora lo affidiamo, perché possa sperimentare l’abbraccio misericordioso di Colui che per tanti anni ha umilmente cercato e servito.

Lo raccomandiamo alla Vergine Maria, alle innumerevoli schiere degli Angeli e dei Santi – in particolare i santi Benedetto e Scolastica, i santi del nostro Ordine e i santi che si venerano in questo monastero e in questa città – perché lo accompagnino nelle dimore celesti dove il Signore Risorto regna glorioso.

E tu, dal canto tuo, caro D. Martino, continua ad accompagnare noi, ancora pellegrini su questa terra. Con la tua preghiera intercedi per la tua comunità monastica e continua a stare vicino a quanti ti hanno voluto bene, in particolare quanti ti sono stati accanto e ti hanno accudito con amore negli ultimi tempi della tua malattia: D. Salvatore e D. Pietro, a cui da ottobre scorso si è aggiunto D. Samy; Michele e Alessandro, i suoi collaboratori nell’Osservatorio; Maurizio; Mauro e Pierfrancesco, della Fondazione Istruzione Agraria, e tutti coloro che, in un modo o nell’altro, non solo hanno alleviato le tue sofferenze, ma ti hanno consentito di rimanere qui a San Pietro – nella tua casa – fino all’ultimo respiro.

Il Signore ti doni la pace dei giusti. E così sia.

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