«Tutto alla fine sarà bene»
Donato Ogliari osb
Luglio 2015
I laudatores temporis acti – coloro cioè che si distinguono nell’osannare il passato e nel lagnarsi del presente – sono sempre esistiti. Già nel IV millennio a. C., nel cosiddetto “papiro di Prisse”, si legge un appassionato rimpianto delle virtù di cuisi era data prova nei secoli precedenti! Non ci resta che sorridere al pensiero che anche nel III millennio d. C. c’è chi non vede alcunché di buono nei tempi attuali e indirizza ad essi giudizi pessimistici e unilaterali! In questo aveva ragione il saggio biblico: «Non c’è niente di nuovo sotto il sole!» (Qoelet 1,9).
Vi è tuttavia una ragione profonda che ci mette in guardia dall’abbandonarci alle sabbie mobili di una lamentela presbite e a buon mercato, una ragione che ci riporta ad un livello nel quale siamo tutti indistintamente toccati sul vivo. Ce la descrive, con la sua abituale perspicacia, sant’Agostino: «“Sono tempi cattivi, tempi penosi!”, si dice. Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi; come siamo noi così sono i tempi. (…) Il mondo lo rendono cattivo gli uomini cattivi. Ma poiché non possiamo non avere con noi persone cattive finché viviamo, eleviamo i nostri gemiti al Signore, nostro Dio, e sopportiamo i mali per giungere così ai veri beni. Non dobbiamo biasimare il Padre di famiglia, poiché ci è caro. È Lui che ci sopporta, non siamo noi che sopportiamo Lui! Sa Lui come dirigere a buon porto ciò che ha fatto; fa’ ciò che comanda e spera ciò che ha promesso».
Già, se i tempi sono buoni o cattivi, siamo noi, in ultima analisi, a renderli tali perché “i tempi siamo noi”! E in questo, pur con ruoli diversi e con differenti responsabilità, siamo davvero tutti coinvolti. Perciò, anziché lamentarci delle cose che non vanno, sarebbe più utile chiederci con quale animo ci poniamo di fronte al mondo di oggi. Ora, la singolarità del credente consiste proprio nell’intima consapevolezza che la realtà non si esaurisce in ciò che appare nella sua cruda oggettività, e che lo sguardo di fede gli rende possibile leggere e interpretare le cose e gli avvenimenti – incluse le situazioni più difficili e dolorose – in una prospettiva di salvezza, come ci ha insegnato Gesù.
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Una grande mistica inglese del Medioevo, Giuliana di Norwich (1342-1416), condensava così la sua esperienza di fede: «Everything is going to be all right – Tutto alla fine sarà bene». Questo sguardo sulla realtà, così carico di fiduciosa e serena speranza, nasceva in lei da una visione della passione e morte di Cristo, durata cinque ore e avvenuta l’8 maggio 1373. In quella visione la mistica inglese comprese che ogni cosa ritrova la sua unità nel Signore. Lo stesso peccato e le sue conseguenze non arrivano a scalfire la volontà di salvezza che scaturisce dall’amore infinito del Padre, rivelato nel Figlio. Afferma Giuliana: «In virtù di quel tenero amore che nostro Signore porta a tutti coloro che saranno salvati, egli ci conforta sollecitamente con infinita dolcezza, così esprimendosi senza parole: “Purtroppo è vero che il peccato è la causa di tutte le pene, ma tutto finirà in bene e ogni singola cosa sarà bene”. Queste parole furono pronunciate con infinita tenerezza e in esse non vi era traccia di biasimo né per me, né per alcuna creatura eletta».
Ci verrebbe da chiedere come sia possibile una visione dell’uomo talmente ottimistica da arrivare ad affermare che neppure il peccato è in grado di scalfire la bontà divina! Come credere, cioè, che il male, nelle sue pluriformi manifestazioni, possa essere inglobato in un processo di redenzione? Traducendo tale concetto in maniera concreta possiamo chiederci: come è possibile che le guerre insulse e gli efferati genocidi che si consumano quotidianamente sulla faccia della terra, o la spietata oppressione di immense folle di diseredati, o lo sfruttamento inflitto alle nazioni più povere del pianeta dove in milioni vivono ancora in condizioni subumane e muoiono di fame, o l’uccisione “legalizzata” di vite innocenti sin dal grembo materno, o le malattie e gli handicaps che feriscono in maniera indelebile l’esistenza di tanti uomini e donne, o le catastrofi naturali che la distruggono; come è possibile che tutto ciò non impedirà al bene di trionfare, e che anche dalle conseguenze del male Dio saprà trarre il bene?
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Va subito precisato, se mai ce ne fosse bisogno, che Dio – per quanto infinito sia il suo Amore – non potrebbe mai giustificare il male. Nella sua onnipotenza, però, pur detestandolo, lo sopporta, anche se, come ci ha rammentato la mistica Giuliana, ci troviamo di fronte ad un «altissimo mistero nascosto in Dio, mistero che Egli ci svelerà in cielo».
Purtuttavia, un tentativo di risposta può essere trovato nella consegna fiduciosa che Gesù ha fatto di sé all’Amore del Padre sulla croce, lì dove ci ha dimostrato che l’intensità e la verità incommensurabili di questo Amore non arretrano né diminuiscono di fronte alle manifestazioni del male, neppure le più perverse. Al di là della misteriosità della presenza del male nella vita del mondo, il credente dovrebbe dunque essere cosciente che esso non potrà mai distruggere l’Amore, e che, al contrario, lo può risvegliare e fortificare. Così si esprimeva san Giovanni Paolo II, nel rileggere l’attentato alla sua vita del 1981: «Il male esiste nel mondo anche per risvegliare in noi l’amore». Solo in quest’ottica, dunque, è possibile far nostre le parole di Giuliana: «Tutto è bene e tutto alla fine sarà bene».
È questione di fede, di quella fede che ci fa scorgere, al di là delle contraddizioni e dei drammi che logorano l’umanità, la mano provvida e fedele di Dio che regge il creato e il corso della storia e che – come ci ricordava sant’Agostino – «sa come dirigere a buon porto ciò che ha fatto». È dunque con fede, irrorata di speranza ed edificata sulla carità, che siamo chiamati ad affrontare questo nuovo anno che ci si apre dinanzi. E questo è il fraterno augurio che rivolgo non solo ai miei cinque lettori, ma a tutti i Nocesi.