LA GELOSIA E L’INVIDIA
Ab. Donato Ogliari osb
Già pubblicato su Il Gazzettino di Noci, anno 2016
Dopo aver indicato nel non giudicare e nel non condannare le tappe del cammino di conversione in questo Anno Santo della Misericordia, papa Francesco commenta: «Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera» (Misericordiae vultus, n. 14).
Per prima cosa vorrei soffermarmi su un concetto sul quale spesso tendiamo a sorvolare, e cioè che le parole non sono mai né amorfe né indifferenti. Al contrario, esse sono sempre portatrici o di positività o di negatività, a seconda del fondo dal quale provengono o dai sentimenti dai quali sono veicolate: di bontà e comprensione oppure di cattiveria e ostilità. Quando sono ispirate da sentimenti negativi, anziché essere sensate e costruttive, le parole diventano naturalmente nocive. E tra i sentimenti negativi che generano parole e attitudini che inaspriscono o rompono le relazioni interpersonali, spiccano – come annota papa Francesco – la gelosia e l’invidia.
In entrambi i casi siamo in presenza di un malessere interiore che si manifesta principalmente nel pensiero, nei sentimenti e nelle emozioni sotto forma di potenza distruttiva. Soprattutto nell’ambito della gelosia, tale disordine può degenerare anche in atti inconsulti. Infatti, mentre l’invidia è, per così dire, statica, in quanto il conflitto che l’invidioso sperimenta è soggettivo e si consuma prevalentemente nel suo intimo, la gelosia può esternarsi in maniera imprevedibile e drammatica. Ciò che, tuttavia, accomuna la gelosia e l’invidia è il loro statuto essenziale: entrambe sono malattie dello spirito.
La gelosia è un sentimento che spinge chi la prova a fagocitare l’altro nell’orbita dei propri pensieri, dei propri convincimenti, delle proprie scelte. Per questo motivo, la gelosia può essere descritta come una specie di ingordigia, che fa del male all’altro innanzitutto perché gli impedisce di essere se stesso, privandolo della libertà di decidere per se stesso. In tal senso – come afferma Marcel Proust – la gelosia è «un inquieto bisogno di tirannide», una potente passione che, soprattutto nella sfera affettivo-sentimentale, finisce con l’alimentarsi di sospetti e di immaginazioni che sfociano nella maldicenza e nella calunnia.
Non va dimenticato, poi, che la gelosia è un’energia dannosa non solo per colui o colei a cui è diretta, ma anche per chi la procura. Il geloso, infatti, diventa egli stesso vittima della sua gelosia, la quale gli procura un’acuta sofferenza interiore che, rimanendo chiusa in se stessa, finisce con lo sfociare nell’ossessione e col trasformarsi in un intimo tormento.
Anche l’invidia, come la gelosia, è una malattia dell’anima. La tradizione cristiana l’ha catalogata tra i cosiddetti vizi “capitali”, quelli ai quali fanno capo altri vizi. Infatti, come dice san Gregorio Magno, «dall’invidia nascono l’odio, la maldicenza, la calunnia, la gioia causata dalla sventura del prossimo e il dispiacere causato dalla sua fortuna». Chiaramente, il dispiacere che prova e rende triste l’invidioso non riguarda solo i beni materiali – per i quali prova un desiderio indebito di appropriazione – ma anche i beni intellettuali, morali e spirituali che gli vede posseduti dagli altri in misura maggiore. Così, anche l’invidioso soffre interiormente. L’invidia è come un tarlo che, una volta entrato nel cuore dell’invidioso, lo rode dal di dentro, come «la carie delle ossa» (Libro dei Proverbi 14,30). Difatti, «come la ruggine consuma il ferro, così l’invidia consuma gli invidiosi» (Piovano Arlotto).
Sembra che il motivo per cui Dante abbia risparmiato agli invidiosi le pene dell’inferno, collocandoli in purgatorio (cf. Purgatorio, Canto XIII), sia proprio da ricercare nella convinzione che essi abbiano già sofferto grandemente in vita. Così, nel Purgatorio, con gli occhi cuciti col fil di ferro, essi espierebbero – secondo la teoria dantesca del “contrappasso” – quegli sguardi biechi (il verbo latino invidere significa, appunto, guardare biecamente), cupidi e brucianti di invidia che, in vita, avrebbero rivolto agli altri. Insomma, per il Sommo Poeta la vita dell’invidioso era già stata un inferno sulla terra, poiché l’invidia era già una pena a se stessa.
Come vincere la gelosia e l’invidia? Dal momento che, in ultima analisi, esse sgorgano dalla superbia e dall’amor proprio, l’antidoto contro di esse consisterà nel riscoprire l’importanza dell’umiltà, come attitudine interiore, e della benevolenza, come atteggiamento esterno. Sostanzialmente, si tratterà dunque di avere quel sano senso dell’equilibrio, della misura, delle giuste proporzioni nella considerazione di se stessi e nel rapporto con gli altri. In tal modo si imparerà sia ad accettare se stessi per quello che si è effettivamente, sia ad accogliere gli altri per quello che essi sono, con rispetto e benevolenza, appunto, fino ad arrivare a gioire della loro superiorità. Questa, almeno, è la meta alla quale è senz’altro chiamato il credente, e su cui san Giovanni Crisostomo non aveva dubbi: «Vorreste vedere Dio glorificato da voi? Ebbene, rallegratevi dei progressi del vostro fratello, ed ecco che Dio sarà glorificato da voi. Dio sarà lodato – si dirà – dalla vittoria sull’invidia riportata da colui che ha saputo fare dei meriti altrui il motivo della propria gioia». Un ottimo esercizio per la Quaresima ormai alle porte!