LA VITA, UN VIAGGIO
con Dio, con se stessi, con gli altri, con il quotidiano -parte II
Ab. Donato Ogliari osb
Già pubblicato su Il Gazzettino di Noci, agosto 2014
La consapevolezza che «il viaggio più serio è quello che porta all’incontro con Dio» (Don Tonino Bello), sospinge il credente a ricercare Dio nelle pieghe della propria esistenza, e a cogliere nella trama dei giorni che si susseguono i segni della sua presenza che salva. In questa sua diuturna ricerca, il cristiano è ugualmente consapevole che il suo cammino non procede alla cieca, poiché esso gli è stato tracciato dallo stesso Gesù, che ha detto: «Io sono la via» (Gv 14,6), e ancora: «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Fattosi uomo e divenuto nostro fratello, amico e compagno di viaggio, Cristo è la “via” attraverso cui ci è possibile incontrare Dio. E questa via Gesù ce l’ha definitivamente mostrata sulla croce dove, in obbedienza alla volontà del Padre, si è offerto vittima di amore per noi. Con la sua morte e la sua risurrezione Egli ci ha, infatti, riaperto il cammino che riconduce alla comunione con Dio.
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Sulla scia di Gesù, anche il viaggio esistenziale del cristiano è chiamato ad essere un’oblazione di amore a Dio e al prossimo. Scrive sant’Agostino: “Quello che fa avanzare sulla via è l’amore di Dio e del prossimo. Chi ama corre, e la corsa è tanto più alacre quanto più è profondo l’amore. A un amore debole corrisponde un cammino lento, e se addirittura manca l’amore, ecco che uno si arresta sulla via”. E ancora: “Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. E quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre”.
La via indicataci da Gesù è dunque quella dell’amore a Dio e al prossimo. Non c’è l’uno senza l’altro, e l’uno illumina l’altro. «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv 4,20-21). Per questo motivo, l’espressione di Don Tonino Bello sopra riportata, va completata con quest’altra: “Il più bel viaggio che facciamo quaggiù è quello che si compie verso l’altro” (Paul Maurand).
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Ma per amare Dio e il prossimo come ci ha insegnato Gesù occorre intraprendere un altro viaggio: quello che conduce all’interno di noi stessi, verso l’uomo «nascosto nel profondo del cuore» (1Pt 3,4). «Il nostro vero viaggio – scrive Thomas Merton – è un viaggio interiore: è un impegno di crescita, di approfondimento, e un abbandonarci sempre più all’azione creativa dell’amore e della grazia nei nostri cuori».
Ovviamente, l’esito di questo viaggio interiore non è scontato. Può, infatti, succedere che lo si percorra in maniera maldestra, come quando, ad esempio, ci lasciamo prendere dalla paura di incontrare il nostro vero “io”, denudato di quegli illusori make ups a cui spesso lo sottoponiamo per esibire agli altri un’immagine accettabile di noi stessi, magari omologata alla moda del momento! Al contrario, il credente che accetta di compiere umilmente il suo viaggio interiore, sa quanto sia importante essere se stessi e riconoscere che anche le difficoltà, le lentezze, i peccati e i lati oscuri, che si celano nel doppiofondo poco frequentato della propria anima, fanno parte del cammino della vita. Sa che anch’essi vanno identificati senza timore e posti fiduciosamente sotto lo sguardo del Signore, che non è venuto per condannarci, ma per perdonarci e guarirci dalle nostre infermità. Solo così, imparando a vivere nella verità di noi stessi, e affidandoci alla misericordia divina, sarà possibile rendere più autentico il nostro amore per Dio e per il prossimo.
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Accanto al viaggio che ci porta nell’intimo del nostro cuore e della nostra coscienza, vi sono poi quei viaggi che appartengono all’orizzonte della nostra quotidianità: sono i volti delle persone di casa e dell’ambiente nel quale viviamo, lavoriamo e ci muoviamo, volti sui quali leggiamo o intuiamo gioie o fatiche, speranze o preoccupazioni, traguardi raggiunti o delusioni cocenti; è la comunità ecclesiale e civile nella quale siamo inseriti e che ha bisogno del nostro fattivo contributo affinché la pace, la concordia e la giustizia abbiano la meglio sui meschini interessi personali; è la creato che ci circonda, con le sue stagioni che si susseguono, il cielo mai uguale a se stesso, la natura che si riveste di nuovi colori, l’odore della pioggia e il calore e la luce abbacinante del sole… Si tratta di viaggi – e accanto a quelli qui elencati ve ne sono tanti altri che ciascuno può aggiungere a suo piacimento – nei quali, ogni giorno daccapo, ci è data la possibilità di «vedere di nuovo quel che si è già visto. (…) Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre» (José Saramago).
In altre parole, abbiamo bisogno di riappropriarci di ogni frammento che compone la nostra quotidianità e che – se contemplato con occhi nuovi – ha sempre qualcosa di diverso da dire al nostro cuore, alla nostra mente, alla nostra vita. Soprattutto, si tratta di vigilare su quelle parole e su quei gesti che mediano le nostre relazioni con gli altri: un buongiorno, un sorriso, una stretta di mano, una lacrima raccolta, un gesto di solidarietà, un grazie, una preghiera… Gesti e parole che ogni giorno devono essere salvaguardati e rinverditi per impedire che diventino preda della routine e della superficialità che tutto appiattisce e rende incolore.
Insomma, il nostro viaggio terreno ha bisogno di essere quotidianamente approvvigionato tramite il contatto con Dio, con il nostro vero “io”, con gli altri, con la realtà che ci circonda. Solo in tal modo ci sarà possibile contrastare le “passioni tristi” che incombono sulla nostra epoca e delle quali è vacua espressione l’imperante cultura dell’apparenza; passioni tristi che ci immiseriscono e ci svuotano dal di dentro, generando smarrimento, angoscia e disperazione; passioni tristi che ci impediscono di accedere alla gioiosa libertà del Cristo, senso primo e ultimo del nostro cammino di quaggiù.