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LA LUCE DELLA PASQUA
Ab. Donato Ogliari osb

Già pubblicato su Il Gazzettino di Noci, aprile 2014

Mettiamo subito i puntini sulle “i”. Gesù non è venuto nel mondo per proporre un sistema politico ed economico che risolvesse i problemi della nostra sussistenza, e neppure per insegnarci un metodo con cui ottenere un perfetto equilibrio psico-somatico. Gesù è venuto per vincere la morte con la sua Risurrezione e spalancare la nostra esistenza terrena alla “vita eterna”: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Che poi il dono luminoso della vita eterna faccia sentire i suoi benefici effetti anche sulla nostra vita di quaggiù, illuminandola e sostenendola, ciò rientra nelle finalità della Risurrezione di Cristo. Essa, infatti, non è solo garanzia della futura risurrezione che ci attende, ma è certezza di vera vita già operante in noi ogniqualvolta acconsentiamo a vivere la nostra esistenza alla luce dello Spirito del Risorto. Perciò, a Pasqua, commemoriamo sì la Risurrezione di Gesù – ossia la sua definitiva vittoria sulla morte che prefigura e anticipa la vita senza fine nella quale anche noi entreremo dopo la dipartita da questo mondo – ma riconosciamo altresì che essa è già misteriosamente attiva nelle vene della nostra carne e della nostra storia.

Già intrisa di risurrezione è, dunque, quell’esistenza che si contrappone alla logica mortifera della prepotenza, della violenza, dell’ingiustizia, e che si volge con decisione verso la ricerca del bene e la costruzione della “civiltà dell’amore”. In tal senso, Gesù risorto è la mano tesa che Dio ci offre per contrastare la presenza proteiforme del male e il suo messaggio paralizzante. È la mano tesa che ci incoraggia ad essere luce là dove le tenebre dell’indifferenza, dell’egoismo, della cattiveria sembrano prendere il sopravvento. È la mano tesa che mantiene viva in noi la speranza impedendo che essa soccomba sotto i colpi delle brutture e delle contraddizioni di cui gli avvenimenti umani sono specchio.

Nel romanzo Giuseppe e i suoi fratelli – che narra in modo lussureggiante la famosa epopea biblica dei dodici figli di Giacobbe – l’autore, Thomas Mann, così descrive il coperchio della cisterna vuota nella quale Giuseppe era stato gettato dai suoi fratelli:

 

“Il vecchio coperchio (…) si era spaccato in due metà e quando le ebbero rotolate tutte e due, l’una dopo l’altra, sulla bocca della cisterna, non combaciavano ma lasciavano un’apertura più o meno larga e sottile nei diversi punti, attraverso cui scendeva un po’ di luce. E verso quella luce guardò Giuseppe (…) le ore gli passarono in indicibile affanno, finché la misera porzione di giorno non si spense nello spiraglio della pietra e in sua vece una stella pietosa gli inviò giù nella tomba il suo raggio diamantino come in alto la nuova luce del giorno due volte si svegliò e rimase sospesa lassù, fioco barlume…”.

 

Nel racconto di Thomas Mann, Giuseppe sarà estratto dalla cisterna dopo tre giorni – chiara allusione alla Risurrezione di Gesù – e l’unico segnale di vita che in quei tre giorni passati laggiù lo raggiungeva era costituito dal fioco barlume del giorno e dal raggio diamantino della notte che filtravano attraverso lo spiraglio della pietra spezzata.

Come non scorgere in essi il chiarore della fede e della speranza, quelle fedeli compagne che consentono al credente di non venir meno neppure nei momenti più bui e travagliati dell’esistenza? E come non affidarsi a quel chiarore nel quale riluce lo Spirito del Risorto e nel quale è racchiusa la possibilità di “risorgere” dalle cisterne dei nostri egoismi, di liberarci dalle catene schiavizzanti del peccato e di esorcizzare la paura e l’angoscia che ottenebrano il cuore quando è ferito e disorientato dalle avversità della vita?

Sì, grazie alla luce della fede e alla speranza che da essa promana, il credente può continuare a cantare fiduciosamente l’alleluia dei risorti anche in mezzo alle preoccupazioni e alle prove di quaggiù: “Canta come fa il viandante, canta, ma cammina. Canta per sostenere la fatica. Canta e cammina. Che significa: cammina? Avanza, avanza nel bene. Avanza in rettitudine di fede… Canta e cammina” (S. Agostino). Questo l’impegno del credente: cantare e camminare verso la meta luminosa che l’attende oltre la morte e i cui raggi già rischiarano i suoi passi incerti, nell’attesa di avvolgerlo nel tripudio festoso della Luce senza tramonto.